Lo studio 329 è una ricerca sponsorizzata dalla GlaxoSmithKline (GSK). Nella pubblicazione originale del 2001, i 22 accademici che lo firmano concludono: “La Paroxetina è generalmente ben tollerata ed efficace nel trattamento della depressione maggiore negli adolescenti“. Nello studio gli autori confrontano 275 adolescenti con depressione maggiore, randomizzandoli in doppio cieco con paroxetina (93), imipramina (95) o placebo (87) per 8 settimane. I pazienti che completano il trattamento sono studiati per i successivi 6 mesi. Ma nella pubblicazione originale vengono presi in considerazione solo i risultati delle prime 8 settimane in cui la paroxetina, rispetto al placebo, mostra un miglioramento significativo in 3 scale di valutazione della depressione e un miglioramento clinico globale di 1 o 2 punti di un’altra scala. Le conclusioni pubblicate nel 2001 riflettono la realtà?
Solo nel 2004 si capirà che negli adolescenti affetti da depressione l’efficacia della paroxetina è debole o nulla e gli effetti avversi psichiatrici sono gravi. Eppure, una valutazione critica della pubblicazione 2001 avrebbe portato a conclusioni differenti. Le differenze tra paroxetina e placebo erano piccole e né la paroxetina né l’imipramina differivano in modo significativo rispetto al placebo nella valutazione della depressione da parte del paziente e del parente del paziente. Inoltre, gli eventi avversi gravi sono stati 11 tra i pazienti trattati con paroxetina, contro i 5 dei pazienti trattati con imipramina e i 2 del gruppo placebo. Quasi tutti (10/11) gli eventi avversi gravi nel gruppo che ha assunto paroxetina sono psichiatrici (es: depressione, tendenza al suicidio, ostilità o euforia).
Lo studio 329 è entrato a far parte del progetto RIAT (Restoring Invisible and Abandoned Trials), un’iniziativa indipendente che cerca di ripristinare la “realtà” degli studi in cui i risultati della pubblicazione sono stati distorti o non pubblicati. É interessante leggere le conclusioni degli autori che seguendo il protocollo stabilito dalla GSK hanno analizzato nuovamente i dati della fase acuta, cioè a 8 settimane dall’inizio del trattamento e quelli, mai pubblicati, dei pazienti che furono seguiti per altri 6 mesi. Conclusioni decisamente differenti rispetto a quelle del 2001. Infatti, per quanto riguarda la fase acuta, gli autori del RIAT concludono che “né paroxetina né imipramina ad alte dosi sono efficaci per la depressione maggiore negli adolescenti, mentre entrambi i farmaci aumentano gli effetti collaterali“. Per quanto riguarda i risultati dell’analisi dei 6 mesi successivi, gli autori del progetto RIAT concludono: “la fase di continuazione non supporta l’efficacia a lungo termine né della paroxetina né dell’imipramina, ma dimostra problemi di sicurezza supplementari per entrambi i farmaci e in particolare eventi avversi psichiatrici per la paroxetina“.
Cos’è successo dopo che sono stati rivelati questi risultati? Nulla. Nessuna correzione, nessuna ritrattazione, nessuna scusa, nessun commento da parte degli autori, dei redattori della rivista o dall’università in cui nel 2001 lavoravano gli autori. Lo studio 329 venne citato da oltre 600 pubblicazioni e incrementò le vendite della paroxetina facendola diventare un blockbuster, ma questo ed altri esempi ci insegnano che i risultati di efficacia e sicurezza degli studi sui farmaci non devono essere ritenuti affidabili senza che i dati e il protocollo siano messi a disposizione per un’analisi indipendente. Solo così si eviterà un altro studio 329.
Traduzione a cura di Luca Iaboli
L’articolo originale è stato pubblicato su Therapeutics Initiative nel luglio-agosto 2016 ed è reperibile al sito: http://www.ti.ubc.ca/wordpress/wp-content/uploads/2016/11/101.pdf