Fra il 1980 ed il 2010 i farmaci anti-cancro hanno aumentato l’attesa di vita di circa un anno ad un costo medio calcolato negli USA di 6.500$ per paziente. Un anno in più sembra poco, ma è epidemiologicamente importante su grande scala, e i costi sono adeguati.(1) Nel 2004, una metanalisi condotta su 250mila pazienti con i tumori solidi più comuni (polmone, prostata, colonretto e mammella) ha valutato che nel 90% dei pazienti la terapia farmacologica aumentava la sopravvivenza a 5 anni di meno del 2.5%, pari ad un beneficio di sopravvivenza di circa 3 mesi.(2)
Qualche tempo fa Richard Sullivan, oncologo al King’s College di Londra, si schierava apertamente contro le terapie ‘futili’ con farmaci costosi, per pazienti con cancro in fase avanzata. Non si devono indurre false speranze in questi pazienti – sosteneva – è meglio accompagnarli in un fine vita dignitoso. Sintetizzava poi con un’impietosa autocritica la ‘cultura dell’eccesso’: noi diagnostichiamo in eccesso, trattiamo in eccesso e promettiamo in eccesso.(3) Lo scorso anno Peter H. Wise, già consulente del Charing Cross Hospital e della Imperial College School of Medicine di Londra, poneva sul BMJ alcuni quesiti fondamentali: quanto della sopravvivenza al cancro può essere attribuita ai farmaci? quanti pazienti sono a conoscenza della limitata efficacia della terapia a fronte dei costi della stessa?(4)
Purtroppo anche i farmaci più recenti, quelli approvati da FDA fra il 2002 e il 2014, non hanno prodotto risultati migliori, nella media solo 2,1 mesi di sopravvivenza in più. Continuano ad arrivare sul mercato prodotti la cui efficacia sembra dimostrata da trial che li hanno testati su gruppi selezionati, pari a circa il 3% dei pazienti affetti da tumore, ma per il rimanente 97% è possibile ottenere gli stessi benefici, e a quali costi? Un editoriale apparso sul Lancet nel 2015 ricordava la petizione di 118 oncologi statunitensi in favore della riduzione di prezzo dei nuovi farmaci oncologici, prezzo cresciuto di 5-10 volte negli ultimi 15 anni.(5) Ricordava anche la recente inclusione nella lista dei farmaci essenziali dell’OMS (“il minimo di base per un sistema sanitario”) di 16 anti-tumorali fra i quali l’imatinib per la leucemia mieloide cronica, che costa 100.000$/anno.
È chiaro che questo incoraggia l’industria a gonfiare i prezzi, con la concreta possibilità che i sistemi sanitari non saranno più in grado di garantire la fornitura ai pazienti. Analogamente, spiegava Lopes Pegna, pneumologo e bioeticista, in una nota apparsa di recente su Salute internazionale,(6) se la sopravvivenza aumenta di così poco, i costi, in particolar modo per i farmaci biologici, stanno aumentando in maniera esponenziale fino ad arrivare in alcuni casi a quasi 300mila€/anno/paziente.
E c’è il sospetto di manovre speculative, irregolarità ed abusi da parte dell’industria del farmaco, che pongono pesanti problemi etici. A causa dell’accelerazione nella messa in commercio per motivi compassionevoli, gli studi sono condotti con un numero di soggetti ridotto, con end point surrogati (la riduzione della massa tumorale o l’intervallo libero da malattia) che non sempre sono specchio fedele di un miglioramento quantitativo e qualitativo della vita residua. Nel 2010 FDA ha dichiarato che quasi la metà dei farmaci che avevano ottenuto un percorso di approvazione rapido non avevano poi confermato la loro validità.(4) Anche farmaci preannunciati come ‘miracolosi’ o ‘rivoluzionari’ e licenziati dunque come “breakthrough” (“di drammatica importanza”, categoria introdotta da FDA nel 2012), si sono rivelati armi spuntate. Grandi somme di danaro sono state così
sottratte alla ricerca sulla diagnosi precoce oppure ad altri settori carenti come la disabilità.
A distanza di un anno il BMJ torna sull’argomento con uno studio retrospettivo del King’s College e della London School of Hygiene and Tropical Medicine di Londra, firmato da Davis e coll., che conferma quanto già sospettato.(7) Fra i farmaci oncologici approvati da EMA tra il 2009 e il 2013 (48 prodotti per 68 indicazioni), con un follow-up mediano di 5.5 anni, solo in 35 casi (51%) si è dimostrata l’efficacia vs placebo o comparatore. Per le altre 33 indicazioni (49%) i risultati rimangono incerti. Ma c’è di più: fra le 23 indicazioni per le quali è applicabile una scala di valutazione a punti, solo 11 hanno raggiunto un punteggio di significatività clinica. Per otto indicazioni si è proceduto all’approvazione in base a studi senza comparatore. Le conclusioni sono che dopo 3,3 anni dall’entrata in commercio non sembra che questi farmaci abbiano aumentato né la sopravvivenza né la qualità di vita per la maggior parte delle indicazioni approvate, e quand’anche lo abbiano fatto il guadagno mediano si calcola attorno ai 2,7 mesi di vita in più. Nello stesso numero del BMJ appare un commento a firma di Deborah Cohen,(8) editor associato, nel quale si sottolinea che in alcuni casi EMA ha rilasciato un’approvazione rapida (fast track) a condizione che
la dimostrazione di efficacia avvenisse a posteriori, nell’uso quotidiano. Dieci farmaci approvati a questa condizione non sono poi riusciti nell’intento, pur rimanendo in commercio.
Con queste premesse è difficile per un amministratore sanitario decidere se stanziare fondi per tali prodotti e nello stesso tempo resistere alle aspettative dei pazienti e alle pressioni dell’industria.
Quest’ultima non esita a farsi sentire, come Bristol-Meyers Squibb, che ha sentenziato: “ci sono 200mila pazienti in 12 paesi che dovrebbero avere accesso a farmaci che non possono ottenere per questioni di rimborso assicurativo”, e prosegue “EMA licenzia farmaci sicuri ed efficaci che possono migliorare e prolungare la vita” e questi devono essere rimborsati al produttore.
La già citata analisi di Davis e coll. elenca con alcuni esempi le falle metodologiche negli studi di approvazione, che EMA non è stata capace di individuare e sancire.(7) Per due farmaci si è scelto un comparatore non idoneo. Per un farmaco che non è riuscito a dimostrare superiorità rispetto alla terapia tradizionale si è cambiato a posteriori l’outcome come studio di non inferiorità. Per alcuni farmaci non si è riusciti a dimostrare con significatività statistica adeguata né aumento di sopravvivenza né di sopravvivenza libera da malattia. Nonostante queste poco brillanti premesse, i nuovi farmaci, per il solo fatto di essere stati approvati, creano in medici e pazienti aspettative irrealistiche su efficacia e sicurezza. Non si può pensare, prosegue la Cohen in accordo con Richard
Sullivan, che i medici diventino distributori obbligati di questi prodotti, magari sotto la spinta dei familiari, senza che vengano spiegati con chiarezza i benefici del tutto marginali o la pericolosità degli effetti collaterali. In molti casi non sono nemmeno proposte alternative di terapia ‘tradizionale’, anche solo palliativa.(8)
I sistemi sanitari dei singoli paesi europei dovrebbero invece farsi carico di un’analisi costi benefici molto accurata prima di approvare i farmaci, senza atteggiamenti di ‘sudditanza’ verso EMA. È quanto ha saputo fare il NICE, ad esempio, non raccomandando la vinfluvina, un farmaco di seconda linea approvato per il carcinoma uroteliale metastatico, giudicato privo di sufficienti benefici. Questo però ha scatenato le ire dell’associazione pazienti con cancro alla vescica che ha chiesto a gran voce che il farmaco in questione venisse riconsiderato positivamente. In pratica succede che ben pochi si assumono la responsabilità di dire no ad un nuovo farmaco oncologico e la vinfluvina di cui sopra non è che uno dei numerosi esempi. Farmaci respinti alla registrazione sono stati in seguito riesaminati ed approvati, probabilmente per pressioni esterne, come nel caso del panitumab, seconda linea per il cancro colon-retto. NICE non lo ha raccomandato in quanto la ditta produttrice Amgen aveva negato di fornire la documentazione completa. Purtroppo altri sistemi sanitari non hanno saputo agire con la stessa fermezza.
D’altra parte bisogna fare i conti con le aspettative che sovrastimano l’efficacia della chemioterapia, se pensiamo che tre quarti dei pazienti con cancro del colon metastatizzato pensano che otterranno risultati positivi dalla terapia.(2) Le aziende produttrici premono vantando benefici esagerati nei riguardi dei loro prodotti e le nazioni che non li hanno raccomandati all’inizio si vedono accusare dai pazienti di negare un importante progresso terapeutico. Se poi li approvano e non funzionano si espongono all’accusa di aver sprecato danaro pubblico e sottoposto i pazienti ad effetti tossici a fronte di scarsi benefici. In alcuni casi si arriva ad un tira e molla di approvazione, ritiro e poi ancora approvazione e ritiro come nel caso del pomalidomide per il mieloma, la cui approvazione era stata rifiutata dal NICE in quanto nello studio registrativo era stato testato contro un comparatore giudicato inidoneo. In seguito è stato accettato ma poi derubricato dall’England’s Cancer Drug Fund. Si alzava quindi la voce delle varie associazioni di pazienti interessati perché venisse presa in considerazione la sua riammissione. Dopo proteste e forti pressioni da parte dell’azienda produttrice (ammesse dallo stesso general manager) nei confronti del NICE e del NHS britannico, il farmaco è stato ripreso, complice la promessa di forti sconti. Ma pagare meno un farmaco vuol dire migliorarne l’efficacia? Nel giugno 2016 EMA aveva revocato le indicazioni del bevacilizumab per carcinoma mammario metastatico asserendo che non aveva fornito i benefici promessi (riduzione della massa tumorale e ritardo di progressione), esponendo inutilmente le pazienti ai suoi effetti tossici. Ciò nonostante il farmaco rimane in uso per le altre sue indicazioni (sempre nel carcinoma mammario) e risulta anzi tra i più richiesti anche in Gran Bretagna, pur se disapprovato dal NICE.
Così i pazienti continuano a sperare nell’efficacia miracolosa di prodotti che li deluderanno, soprattutto a causa delle falle metodologiche negli studi di approvazione. Le aziende produttrici fanno il loro gioco con guadagni enormi ed alla fine la responsabilità di tutto ciò rimane nelle mani degli organismi regolatori e dei sistemi sanitari dei singoli paesi. Sarebbe ora di rifiutarsi di pagare cifre folli per farmaci che offrono benefici così modesti.
A cura di Giovanni Peronato
1. Hawkes N. High cost of cancer treatment doesn’t reflect benefits, say specialists. BMJ 2011;343:d6220
2. Morgan G, Ward R, Barton M. The contribution of cytotoxic chemotherapy to 5-year survival in adult
malignancies. Clin Oncol (R Coll Radiol) 2004;16:549-60
3. Sullivan R. Delivering affordable cancer care in high-income countries. Lancet oncology 2011;12:933-80
4. Wise PH. Cancer drugs, survival, and ethics. BMJ 2016;355:i5792
5. Paying a high price for cancer drugs.
Lancet 2015;386:404
6. http://www.saluteinternazionale.info/2017/01/farmaci-anticancro-sopravvivenza e-etica/
7. Davis C. Availability of evidence of benefits on overall survival and quality of life of cancer drugs approved by European Medicines Agency: retrospective cohort study of drug approvals 2009-13. BMJ 2017;359:j4530
8. Cohen D. Cancer drugs: high price, uncertain value.
BMJ 2017;359:j4543