In un breve articolo pubblicato sull’American Journal of Public Health,(1) Martin McKee e David Stuckler discutono i determinanti commerciali della salute e come agire nei loro confronti.
Per molti, le multinazionali, comprese quelle della salute, offrono dei vantaggi: impiegano lavoratori, creano e vendono prodotti utili, pagano le tasse, cercano di mitigare gli effetti sull’ambiente e, attraverso fondazioni e alleanze pubblico/privato, beneficiano in altri modi la società. Per altri, mettono i profitti al di sopra di qualsiasi altra considerazione, sfruttano i lavoratori, creano e vendono prodotti inutili o dannosi, evadono le tasse, causano danni all’ambiente e usano fondazioni e alleanze pubblico/privato per mascherare i loro misfatti. In una prospettiva storica (le prime multinazionali hanno avuto un ruolo primario nella tratta degli schiavi e nelle politiche coloniali) e più specifica (ricerche sui danni causati dalle multinazionali di tabacco, alcol, cibo spazzatura, automobili e farmaci), la ragione sembrano averla coloro che sostengono questa seconda posizione.
Se è così, cosa si può fare? Usando le esperienze di lotta contro gli acidi grassi trans, i SUV e il Vioxx, alcuni autori hanno proposto le azioni legali, e la legislazione che ne consegue, come metodi da diffondere, associandoli a una maggiore e più trasparente informazione al pubblico, a restrizioni del marketing e delle attività di lobby, oltre che a sanzioni contro la distorsione della scienza. Nel 2016, alcuni autori hanno espanso queste idee chiedendo azioni sistematiche contro il marketing, le lobby, la cosiddetta responsabilità sociale d’impresa, e le catene commerciali globali.(2) McKee e Stuckler pensano invece che ci si debba concentrare sullo squilibrio del potere e sui quattro meccanismi con cui le multinazionali lo esercitano, facendo in modo che il pubblico se ne riappropri. Per far ciò, bisogna prima considerare l’attuale natura del potere. Si tratta di un potere che agisce in maniera sempre più sottile, creando o rinforzando valori sociali e politici, e pratiche, che permettano di discutere solamente di questioni innocue per chi lo detiene. È un potere che modella le preferenze e i desideri del pubblico a favore delle multinazionali, che crea falsa consapevolezza e legittimizza o de-legittimizza certi discorsi, pro o contro le multinazionali, in maniera quasi sempre invisibile. Per contrastarlo, bisogna andare oltre ciò che si vede, alle segrete stanze dove si creano cultura e politiche. I quattro meccanismi proposti e in seguito descritti si basano su questa natura del potere.
Definire la narrativa dominante
Quando non li posseggono, totalmente o parzialmente, le multinazionali controllano e influenzano i media in vari modi, tra cui la quota di entrate legate alla pubblicità. Possono così spingere affinché alcune malattie siano considerate problemi di comportamento individuale e non di salute pubblica, perché di alcuni determinanti sociali della salute non si parli, sollevando dubbi su conclusioni scientifiche acquisite; possono insomma, anche con i loro prodotti ed il marketing che li accompagna, imporre modelli di vita e di lavoro non salutari. Possono anche contribuire a svalutare politiche di welfare dipingendole come misure che limitano le libertà individuali. Con l’avvento dei social media, ma anche prima con campagne di stampa mirate, possono infine far pressione per la vittoria di candidati alle elezioni a loro favorevoli.
Stabilire le regole e le procedure di governo
Le multinazionali sono contrarie a governi che aumentano regole e tasse, ma favorevoli a quelli che proteggono, per esempio, la proprietà intellettuale e la libertà di assumere e licenziare. Per questo una delle loro principali attività è la lobby, sia sui singoli governi, sia sulle istituzioni sovra-nazionali che emanano direttive e regolamenti (ad esempio, l’Unione Europea o il Codex Alimentarius). Possono addirittura piazzare loro rappresentanti o consulenti all’interno di queste istituzioni, oppure, con il meccanismo delle porte girevoli, assumono ex politici alle loro dipendenze. Fanno anche pressione perché gli organismi deputati a risolvere le dispute operino con regole a loro favorevoli, come nel caso degli accordi di libero commercio.
Mercificare conoscenze e idee
Con il meccanismo della proprietà intellettuale, le multinazionali si appropriano di conoscenze che dovrebbero essere di proprietà pubblica. Succede in agricoltura con le sementi e in sanità con i principi naturali che possono essere trasformati in farmaci. Possono anche stabilire quali conoscenze mettere in pratica e quali no, per esempio favorendo lo sviluppo di farmaci per le popolazioni ricche e lasciando da parte quelli destinati alle malattie dei poveri. Cercano infine di dominare le istituzioni in cui idee e conoscenze si producono, come dimostra la loro presenza sempre più pervasiva nei centri di ricerca universitari pubblici e privati.
Determinare i diritti politici, economici e sociali
Le multinazionali possono migliorare le condizioni di lavoro, ma più spesso le peggiorano, come dimostra la tendenza a delocalizzare in paesi dove i salari sono più bassi e la legislazione sul lavoro più debole. A volte è sufficiente minacciare una delocalizzazione per virare al ribasso le condizioni economiche e sociali di una regione o di un gruppo di lavoratori. Direttamente o indirettamente possono anche diminuire l’accesso ai servizi di salute, sia agendo sulle politiche sia riducendo i salari. Nota è infine la loro capacità di approfittare di qualsiasi crisi economica per favorire misure di austerity che aumentino i loro profitti a danno delle condizioni salariali e di vita dei lavoratori. Per non parlare del loro modo di concepire le tasse, visto la tendenza a risiedere in paradisi fiscali.
Che fare?
Secondo McKee e Stuckler, affrontare questi meccanismi di potere è una priorità di salute pubblica globale. Ma non è evidentemente un compito che gli operatori sanitari possano affrontare da soli e per di più a livello nazionale o locale. Gli operatori sanitari, tuttavia, non sono impotenti. Possono, per esempio, cercare di modificare la narrativa corrente sui determinanti di salute focalizzando su quelli sociali ed economici, mostrando come molte scelte di salute siano fuori dal controllo degli individui. Possono far pressione per escludere dai tavoli in cui si decidono politiche di salute dipendenti, consulenti o esperti con CdI al servizio delle multinazionali del tabacco, del cibo spazzatura e dell’alcol. Se sono dei ricercatori, possono rifiutare di collaborare in studi finanziati da queste stesse ditte. Possono dichiararsi a favore e sostenere amministrazioni che si oppongono al volere delle multinazionali, come quando si discutono tassazioni sulle bevande zuccherate o leggi per ridurre l’estrazione e l’uso di combustibili fossili. Possono partecipare e sostenere movimenti che lottano per la salvaguardia dell’ambiente o per una salute che sia indipendente dal mercato, come i NoGrazie.
A cura di Adriano Cattaneo
- McKee M, Stuckler D. Revisiting to the corporate and commercial determinants of health. Am J Public Health 2018;108(9):1167-70
- Kickbusch I, Allen L, Franz C. The commercial determinants of health. Lancet Glob Health 2016;4(12):e895–e896