Per la serie del BMJ su “Influenze commerciali sulla salute: dalla trasparenza all’indipendenza”,1 è stato pubblicato un nuovo articolo.2 Obiettivo dichiarato degli autori è proporre alcuni approcci per minimizzare il bias nei trial clinici.
All’inizio, quindi, fanno una lista dei bias conosciuti in relazione al finanziamento della ricerca e delle loro conseguenze:
- Enfasi sui farmaci più promettenti per il mercato e conseguente mancanza di finanziamenti per ricerca su farmaci più poveri.
- RCT con comparatori o endpoints inadeguati, con conseguenti vantaggi per i farmaci sponsorizzati.
- CdI tra i membri dei comitati etici, i ricercatori e gli autori, con conseguenze sul disegno, i metodi, l’implementazione, l’analisi e l’interpretazione dei trials.
- Omissione o minimizzazione dei risultati e/o degli effetti negativi e relative conseguenze nella comunicazione al pubblico.
- Uso di ghost writers per rendere gli articoli più appetibili per le riviste e l’interpretazione più favorevole per l’industria.
- Pressione finanziaria sulle riviste (pubblicità, reprints) per favorire la pubblicazione in caso di dubbi.
- Mancata pubblicazione di trials con risultati negativi, con distorsione della letteratura e delle revisioni sistematiche, e conseguenze negative sulla pratica clinica.
- Relazioni finanziarie con istituzioni accademiche e centri di ricerca per influenzarne l’agenda.
- Accordi tra industria e ricercatori per limitarne la libertà di pubblicazione.
- Partecipazione di ricercatori e centri di ricerca alle attività finanziarie (azioni, per esempio) dell’industria, con ovvia preferenza per le ricerche che generano profitti.
- Cambiamenti dei regolamenti per favorire l’interazione senza intoppi tra settore pubblico e privato.
Tutti gli elementi di questa lista sono accompagnati dai necessari riferimenti bibliografici.
Dato che è impossibile, per lo meno nel breve/medio termine, pensare di eliminare tutto ciò, bisogna puntare su interventi che permettano di ridurre queste fonti di bias. Ecco le proposte degli autori:
- Stabilire la lista delle priorità per la ricerca in maniera pubblica e trasparente, per assegnare poi i fondi necessari, pubblici e/o privati, in base a questa lista.
- Riformare il sistema dei brevetti in modo da non permettere che siano l’unico o il principale incentivo alla ricerca. Gli istituti pubblici che realizzano la ricerca iniziale potrebbero mantenere il brevetto in mani pubbliche anche quando sviluppo e produzione passano in mano ai privati. Gli istituti di ricerca privati potrebbero privilegiare i finanziamenti pubblici e porre un limite a quelli privati, come fa in Italia l’Istituto Mario Negri, che in ogni caso non brevetta i risultati delle sue ricerche e ne concede lo sviluppo e l’uso a tutti senza condizioni.
- Rivedere e riformare i criteri, e le relative conseguenze, per l’autorialità e le dichiarazioni di CdI per pubblicazioni su riviste scientifiche. C’è chi addirittura propone che le ricerche finanziate dall’industria abbiano la ditta stessa come autore principale degli articoli.
- Rendere obbligatoria la trasparenza totale e la disponibilità per tutti dei dati grezzi di un trial, proibendo alle ditte che non si attengono di depositare un brevetto e di ottenere una licenza commerciale.
- Pensare a meccanismi per evitare i CdI o per ridurre i loro effetti negativi, perché trasparenza e dichiarazioni (anche quando è in vigore un Sunshine Act) sembrano insufficienti allo scopo. Bisognerebbe, per esempio, proibire a ricercatori con CdI di essere membri di comitati etici, direttivi di ricerca, gruppi per la sorveglianza della sicurezza, gruppi per lo sviluppo di linee guida; o addirittura di essere a capo di team di ricerca o membri di comitati editoriali. Le istituzioni accademiche potrebbero avere un ruolo fondamentale nell’evitare CdI tra i loro docenti e ricercatori.
- Riformare le agenzie regolatorie come EMA e FDA, assicurandone l’indipendenza finanziaria e ponendo rigide barriere alla possibilità di creazione di CdI per i loro funzionari.
Non sarà facile, ovviamente; la strada è sicuramente in salita e non ci si può affidare all’applicazione di misure isolate, tra quelle proposte dagli autori dell’articolo o altre che si possano aggiungere. Ma se non si intraprende un cammino, è difficile pensare di fare molta strada.
A cura di Adriano Cattaneo
1) https://www.bmj.com/commercial-influence
2)Lexchin J, Bero LA, Davis C, Gagnon MA. Achieving greater independence from commercial influence in research. BMJ 2021;372:n370