Conflict of interest: none

Conflitto di interessi: nessuno. Così si leggeva a margine di un articolo inviato allo European Respiratory Journal, importante rivista biomedica, con Impact Factor 12,339 (1).  L’articolo, pubblicato come ‘early view’ nel luglio 2020, parlava dei fattori di rischio per Covid-19 in Messico, attraverso l’analisi di circa 90mila soggetti con diagnosi confermata mediante test di laboratorio. Si trattava di soggetti prevalentemente di sesso maschile con co-morbidità (età, diabete, obesità).  I risultati della ricerca valutavano il fumo come fattore protettivo nei confronti dell’infezione, con riduzione del rischio del 23%, mentre, se infettati, i fumatori non correvano ulteriori rischi, quali prognosi avversa o maggior tasso di ospedalizzazione.

Evidentemente, una volta arrivato ai revisori, le affiliazioni degli autori sono state attentamente vagliate, costatando così che due di essi avevano CdI con l’industria del tabacco; uno in particolare ricopriva il ruolo di consulente scientifico per l’associazione greca NGO NOSMOKE, finanziata da Smoke Free World (2), una fondazione che si dichiara indipendente ma che è stata creata ed è finanziata da PMI Global Services, dove PMI sta per Philip Morris International. L’articolo è stato di conseguenza ritirato.

I due autori in questione hanno fatto ricorso affermando che i dati erano correttamente stimati e che il COPE (Comitato Etico per le Pubblicazioni) stabilisce che una dichiarazione mendace non può comportare il ritiro. Ma il comitato editoriale è stato inflessibile, sostenendo che la European Respiratory Society, che pubblica la rivista, ha come regola statutaria la salute dei polmoni, e dunque non pubblica nulla se gli autori hanno una qualche relazione con l’industria del tabacco (3).  Ancora una prova, se ce ne fosse bisogno, della pervasività di Big Tobacco, che si insinua in ogni ambito sfruttabile a suo favore.

Digitando su Google “smoke and covid risk” si può verificare come l’argomento sia controverso; più di uno studio segnala una paradossale riduzione del rischio di ospedalizzazione e di infezione da Covid-19 nei fumatori. Una revisione OMS del giugno 2020 concludeva che, in base alle attuali prove, il fumo si associa ad aumentata gravità della Covid-19, ma non è quantificata con chiarezza la percentuale di aumento del rischio di infezione o di ospedalizzazione (4).  Un recentissimo articolo pubblicato su Thorax, a cura del National Heart and Lung Institute e dell’Imperial College di Londra, ha analizzato un database di sintomi riferiti da 2.4 milioni di soggetti per 30 giorni da marzo ad aprile 2020 (5).  I risultati confermano un aumentato rischio di sviluppare una Covid-19 sintomatica nei fumatori. Cito questo articolo perché nell’introduzione offre, forse, una corretta spiegazione sull’incertezza dei dati in letteratura. La confusione può derivare dalla definizione di ‘smoking’. Alcuni studi considerano soltanto i fumatori attuali (current smoker) mentre altri accomunano fumatori ed ex-fumatori, alterando così i dati di prevalenza. Inoltre va ben distinto il fumo dalle patologie a esso correlate, essendo queste ultime che aumentano il rischio, anche se il soggetto non è più fumatore al momento dell’indagine, avendo smesso magari proprio in occasione della pandemia.

1. https://www.researchgate.net/publication/343330767_Characteristics_and_risk_factors_for_COVID-19_diagnosis_and_adverse_outcomes_in_Mexico_an_analysis_of_89756_laboratory-confirmed_COVID-19_cases

2. https://www.smokefreeworld.org/

3. https://erj.ersjournals.com/content/57/3/2002144

4. https://www.who.int/news-room/commentaries/detail/smoking-and-covid-19

5. https://thorax.bmj.com/content/early/2021/02/07/thoraxjnl-2020-216422

                                                                                                                                              Giovanni Peronato

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