In attesa del Sunshine Act italiano, una tragicommedia (finora) in tre atti di cui speriamo di non assistere alla conclusione,[1] volgiamo per un attimo lo sguardo oltre Manica.
Nella Lettera 85 di Ottobre 2020, vi avevamo raccontato di una richiesta al governo britannico, firmata da tutto il comitato editoriale del BMJ, a seguito di un rapporto che mostrava come i CdI non dichiarati, e le conseguenti scelte terapeutiche, avessero danneggiato gli utenti di mesh vaginali, sodio valproato e test ormonale di gravidanza. Non essendo successo nulla, il BMJ torna ora all’attacco. Un articolo firmato dalla redattrice Rebecca Coombes riferisce di come il General Medical Council (GMC), corrispondente alla nostra Federazione degli Ordini dei Medici, spalleggi un appello volto a obbligare i medici a dichiarare i loro CdI finanziari in un registro pubblico.[2] La richiesta è stata fatta nel corso di un’audizione parlamentare ospitata da un gruppo trasversale di deputati denominato First do no harm (primum non nocere) e dal BMJ stesso. In teoria, i medici dovrebbero già dichiarare i loro CdI ai loro pazienti e datori di lavoro, ma non tutti lo fanno e in ogni caso queste dichiarazioni non sono pubblicamente accessibili. I pochi registri esistenti, oltre ad essere incompleti e inaccessibili, sono locali, non aggiornati e gestiti in maniera non standardizzata, tanto da renderli un fardello burocratico inutile. In alcuni, la soglia per la dichiarazione di compensi monetari è variabile, in altri i medici devono dichiarare anche il dono di una scatola di cioccolatini. Non è inoltre chiaro se i registri esistenti riguardino solo i medici o anche altri operatori sanitari, e cosa debbano fare coloro che prestano i loro servizi per vari datori di lavoro.
In un secondo articolo, un altro redattore del BMJ descrive le caratteristiche di un registro pubblico unico.[3] Dovrebbe essere tenuto dal Ministero della Salute e raccogliere le dichiarazioni sia individuali di tutti gli operatori sanitari sia quelle collettive delle strutture sanitarie (ospedali, università, centri di ricerca, ecc.) e delle associazioni professionali. Dovrebbe avere regole standardizzate per la dichiarazione che, in ogni caso, dovrebbe essere semplice da compilare e da aggiornare una volta l’anno. Chi non dichiara i propri CdI, o li dichiara in maniera mendace, dovrebbe essere adeguatamente punito. Il registro dovrebbe includere i pagamenti, in denaro o servizi, sia dell’industria farmaceutica sia di qualsiasi altra industria della salute: dispositivi medici, diagnostica di laboratorio e per immagini, alimenti a scopo sanitario (comprese le formule infantili), ecc. Secondo un’inchiesta a campione dello stesso BMJ,[4] il 90% delle associazioni mediche sarebbe favorevole a un registro di questo tipo.
Per il momento, però, ci sono solo registri volontari. Oltre a quelli messi in piedi da alcuni ospedali e datori di lavoro, già citati, e oltre a quello dell’EFPIA (European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations), di cui abbiamo scritto in apertura della Lettera 62 di Settembre 2018 perché presente anche in Italia, in Gran Bretagna vi è quello di un’associazione chiamata “Sunshine UK” che permette ai medici di registrare sul sito whopaysthisdoctor.org pagamenti all’interno di un range (per esempio, 2000-5000 sterline), ma non cifre esatte. Ci sono poi tutte le dichiarazioni spontanee per articoli, lezioni, presentazioni a congressi, ecc., ma sappiamo quanto siano incomplete e non necessariamente veritiere. Vi sono infine le dichiarazioni degli esperti chiamati a far parte di comitati locali o nazionali per vari scopi, dall’elaborazione di linee guida allo sviluppo di piani d’azione per diversi problemi (vaccinazioni, infezioni ospedaliere, ecc). Si tratta di decine di rivoli separati che non permettono di ricavare un quadro unitario, anche per la mancanza di standardizzazione; alcuni richiedono di dichiarare i CdI degli ultimi 5 anni, altri degli ultimi 12 mesi, solo per fare un esempio.
È ovvio che solo un registro centralizzato e unico, con definizioni chiare e semplici, con una soglia molto bassa per le cifre da dichiarare (10$ negli USA, 1€ in Francia), periodicamente aggiornato, facile da usare e consultare, e accessibile a chiunque voglia usarlo, sia a scopo di ricerca sia per sapere se il proprio medico ha dei CdI, può rispondere alla richiesta sempre più pressante di rendere le relazioni finanziarie tra industria della salute e operatori sanitari totalmente trasparenti. Un registro di questo tipo al momento esiste solo negli USA e in Danimarca, Francia, Grecia, Lettonia, Portogallo e Romania. Ma ricordiamoci che trasparenza non significa aver risolto il problema dei CdI, che andrebbero evitati, e non solamente dichiarati e gestiti.
Adriano Cattaneo
[1]. http://www.nograzie.eu/1587-2/#more-1587
[2]. Coombes R. Doctors’ duty to declare their interests should be enforced, says GMC. BMJ 2021;373:n1329
[3]. Rimmer A. Briefing: Why do we need a mandatory register of doctors’ interests? BMJ 2021;373:n1280
[4]. Rimmer A. Nine in 10 professional organisations say doctors should have to register their financial interests. BMJ 2021;373:n933