Salute mentale e conflitti di interessi

Da qualche anno a questa parte la salute mentale della popolazione sta entrando nel dibattito delle politiche governative sulla salute pubblica, ma non solo. Ne sono testimonianza, ad esempio, il focus sulla salute mentale durante il recente G20 sulla salute e la convocazione della seconda Conferenza Nazionale sulla Salute Mentale di giugno 2021, esito e rilancio di un percorso partecipativo, voluta dal Tavolo Tecnico sulla Salute Mentale recentemente istituito dal Ministero della Salute, oltre che il recente Summit Mondiale sulla Salute Mentale del 5 e 6 ottobre, ospitato dalla Francia e che il prossimo anno si svolgerà a Roma.

Ma già prima della pandemia l’OMS iniziò a segnalare a decisori politici e opinione pubblica l’epidemia di “depressione”, in corso e prevista, e molte forze si unirono nelle richieste di “maggiori investimenti in salute mentale” in una narrazione dominante costruita sulle ripercussioni dei disturbi mentali sulla capacità produttiva e sui costi economici, diretti e indiretti, della loro gestione, come testimonia anche il recente rapporto del OECD (Fitter Minds, Fitter Jobs, https://www.oecd.org/health/fitter-minds-fitter-jobs-a0815d0f-en.htm). A gennaio 2020, al World Economic Forum di Davos, che indirizza e riflette i flussi di investimenti finanziari ed economici globali, i potenti della terra, i potenti della terra inserirono la salute mentale in un’agenda che sembra rappresentare un terreno strategico per la realizzazione di profitto privato. Tutte le forze convergono sulla necessità di disporre azioni di sensibilizzazione e consapevolezza e sulla necessità di maggiori investimenti per contrastare quella che viene definita una nuova possibile epidemia.

La bontà di tali propositi si scontra però con i numerosi conflitti di interessi. Molte delle campagne di sensibilizzazione e consapevolezza rivolte alla popolazione oggi presenti sono disposte da aziende produttrici di farmaci. Tra queste:

  • la campagna “Insieme per la salute mentale” disposta dalla ditta Lundbeck, in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale;
  • la campagna “abcdepressione” organizzata da Janssen, recentemente ripresa e diffusa dal Corriere della Sera;
  • le molte campagne e iniziative organizzate da “Osservatorio Onda – Osservatorio Nazionale sulla Salute di Genere e della Donna”, finanziate da numerose multinazionali;
  • oltre che i progetti di divulgazione, come ad esempio “Mind the Gap: che genere di salute mentale”, finanziato sempre da Lundbeck e disposto da Il Pensiero Scientifico Editore.

Evidentemente occorre cautela nella valutazione e nella diffusione di qualsiasi campagna di consapevolezza e sensibilizzazione promossa da una ditta produttrice di farmaci. Tuttavia, sono ben noti sia il ruolo delle campagne di sensibilizzazione nel processo di disease mongering sia gli effetti delle campagne sull’andamento delle richieste di prescrizioni da parte dei cittadini. In Italia, il problema si pone in misura maggiore all’interno di un sistema di cure, quelle psichiatriche, in cui l’indefinitezza delle condizioni patologiche si accompagna strutturalmente a prescrizioni troppo spesso inappropriate.

A cura di Matteo Bessone

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