L’articolo precedente ( Covid-19: quale vaccino per la terza dose? ) apre e chiude in modo condivisibile: “Sembra ormai appurato che per proteggere dalle conseguenze più gravi della Covid19 siano necessarie dosi di richiamo. Tale somministrazione, raccomandata dapprima a 6 mesi dalla seconda dose, tende a essere anticipata a 5, 4 o addirittura 3 mesi…”; e “In conclusione, tutti e 7 i vaccini usati per la dose di richiamo hanno aumentato la risposta immunitaria, ma con differenze quantitative da considerare per la scelta del vaccino, ammesso che questa non sia obbligata…”.
Sembra utile aggiungere che – per tutti coloro che non sono (ancora?) soggetti a obbligo – fare o no la 3a dose costituisce una scelta, che andrebbe fatta in modo informato, considerando i benefici e i danni attesi, in base alle conoscenze finora disponibili. Se ne enumerano alcuni, senza pretesa di esaustività.
Benefici sanitari attesi
- La protezione da Covid-19 (grave, critica e decessi) risulta molto migliore in chi ha ricevuto la 3a dose rispetto a chi è fermo alla 2a, o ai non vaccinati
- Ne consegue anche una riduzione del carico di assistenza medica, ricoveri e accessi in terapie intensive, con maggiori disponibilità per trattare altre patologie
- Anche la protezione dall’infezione è migliore nei primi mesi se si parla di variante Delta, o nelle prime settimane se si parla di Omicron. Dunque all’inizio il rischio di trasmissione ad altri, e in particolare a soggetti ad alto rischio, è molto minore/minore con la dose di richiamo
Danni sanitari attesi
- La protezione dalla mortalità totale non è affatto scontata, come mostrano i dati presentati nella Conferenza Stampa-seminario del 22-12-21 (https://cmsindipendente.it/sites/default/files/2021-12/CS%2022-12-21%20CMSi%20Presentazioni%20Donzelli.pdf, slide da 8 a 34),
- Né è scontata la riduzione del carico di infezioni, dato che nelle prime settimane (almeno due) dopo l’inoculo aumenta la suscettibilità al Sars-CoV-2 e a molti altri patogeni (pare per transitoria e documentata immunodepressione) (v. ibidem, slide 18 e 19, o 37). E che la necessità di frequenti richiami può moltiplicare questi problemi.
- Anche la protezione “dall’infezione/dalla trasmissione agli altri” non va vista solo fotografando la situazione nei primi mesi dopo gli inoculi, quando è al massimo, ma esaminando l’andamento di tale effetto nel tempo. Infatti è ormai accertato che dopo pochi mesi la protezione si riduce fino a svanire, e poi pare addirittura negativizzarsi, come mostra il trend UK nelle settimane da 36 a 51 del 2021 (v. ibidem, slide da 35 a 52), o i dati dal registro nazionale danese rispetto alla variante Omicron (https://doi.org/10.1101/2021.12.20.21267966), in cui dopo 3-5 mesi dalla 2a dose dei vaccini Pfizer o Moderna la protezione dall’infezione si negativizza in modo significativo rispetto ai non vaccinati (Efficacia vaccinale -76,5% e -39.3% rispettivamente).
- A ciò vanno aggiunti i danni da reazioni avverse a vaccini di cui si pianifica un inoculo universale. I danni sono importanti, e la sorveglianza attiva di v-safe (CDC) mostra che sono 580 volte più frequenti di quanto rileva la sorveglianza passiva riportata nei Rapporti AIFA (v. ibidem, slide da 71 a 76, o slide di Frajese sui bambini di 5-11 anni https://doi.org/10.1101/2021.12.20.21267966, riprodotte da v-safe dei CDC).
Sempre dal confronto tra v-safe e l’ultimo Rapporto AIFA (il n. 9) sulla sorveglianza vaccini Covid-19 si constata che le reazioni avverse severe ai vaccini a mRNA sono sottostimate di oltre 1000 volte dalla sorveglianza passiva cui si riferisce AIFA, dunque per paradosso soggette a una sottostima maggiore rispetto alle reazioni avverse in genere.
E non sembra pensabile continuare con richiami ogni 3 mesi, dato che gli effetti avversi non solo si accumulano, ma possono peggiorare con la successione delle dosi. Basti ricordare per le sole miocarditi che la Hippisley-Cox e coll. Risk of myocarditis following sequential COVID-19 vaccinations by age and sex | medRxiv, su commissione di Health Data Research Uk, ha già trovato su oltre 42 milioni di sudditi inglesi, nei maschi <40 anni un eccesso di 3, 12 e 13 miocarditi/milione nelle 4 settimane dopo la 1°, la 2° e la 3° dose di Pfizer; e ben 12 e 101 dopo la 1° e la 2° dose di Moderna, che in quest’ultimo caso hanno nettamente superato l’eccesso di miocarditi conseguenti all’infezione da Covid-19. Quelle da Covid si osservano, è vero, in ambo i sessi e in tutte le età, e soprattutto negli ultra 40enni, ma le Covid-19 non hanno finora interessato certo l’intera popolazione, né vi è evidenza che si ripetano ogni pochi mesi, e neppure che debbano mantenere la stessa gravità con la progressiva dominanza della variante Omicron.
Per concludere, si riconosce che la scelta di effettuare la 3a dose, specie per soggetti a rischio di gravi complicanze, può essere razionale e comunque legittima. Anche la scelta di non effettuarla può essere altrettanto razionale, legittima (come lo è l’essere contrari a ogni obbligo) e non per forza “egoistica”. Per un cittadino completamente informato, specie se si ritiene in buona salute e in grado di superare un’infezione naturale (magari con l’aiuto di terapie precoci sicure, economiche e di efficacia ragionevolmente documentata, v. slide 5-7 al primo link di cui sopra), ricevendone un’immunità più robusta e duratura di quella vaccinale (https://www.eventiavversinews.it/un-elenco-di-106-studi-peer-reviewed-che-affermano-il-potere-dellimmunita-naturale-covid-da-salvare/) può anzi essere una scelta con motivazioni altruistiche, nell’interesse strategico anche della comunità.
Alberto Donzelli