Sembra ormai appurato che per proteggere gli individui dalle conseguenze più gravi della Covid19 sia necessario somministrare delle dosi di richiamo. Tale somministrazione, raccomandata dapprima a 6 mesi dalla seconda dose, tende a essere anticipata a 5, 4 o addirittura 3 mesi a seconda dell’andamento della pandemia, della frequenza di decessi e casi gravi, e dei dati riguardanti la diminuzione della protezione nel tempo.
Questa relativa urgenza nella somministrazione delle dosi di richiamo, associata all’irregolarità dei rifornimenti di vaccini da parte dei produttori, comporta spesso la necessità di ricorrere a vaccini diversi da quelli inizialmente usati. Da qui l’esigenza di capire quale risposta immunitaria si ha usando come richiamo un vaccino diverso da quello del ciclo iniziale.
A questa domanda ha cercato di rispondere un numeroso gruppo di ricercatori inglesi in un articolo pubblicato sul Lancet.[1] Iniziamo col dire che la ricerca è stata finanziata con fondi pubblici. Tuttavia, 9 dei 53 autori dichiarano dei conflitti di interessi; 3 per aver ricevuto previamente finanziamenti individuali da produttori di vaccini anti Covid19 per attività di ricerca o consulenza, 6 per lavorare o aver lavorato in istituzioni con progetti di ricerca finanziati dalle stesse ditte.
Lo studio è un RCT multicentrico di fase 2 in cui 2878 individui con criteri di eleggibilità, su 3498 vagliati, sono stati randomizzati a 1 di 7 vaccini di richiamo: Novavax, Valneva, Janssen, Moderna, Curevac, Pfizer e AstraZeneca. Tutti i partecipanti avevano più di 30 anni e avevano ricevuto da almeno 70 giorni la seconda dose di AstraZeneca o da almeno 84 giorni la seconda dose di Pfizer. Nessuno dei partecipanti aveva avuto un’infezione da SarsCov2 confermata in laboratorio. In ognuno dei 3 gruppi di randomizzazione, a seconda del vaccino di richiamo usato, vi era un gruppo di controllo che riceveva un vaccino antimeningococco. A tutti i partecipanti sono stati misurati, prima e dopo la dose di richiamo e come outcome primario, i livelli di IgG anti proteina spike; gli outcome secondari comprendevano la neutralizzazione del virus e la risposta immunitaria cellulare.
Tre vaccini di richiamo hanno mostrato la maggiore reattogenicità: Moderna dopo AstraZeneca o Pfizer, e Astra Zeneca e Janssen dopo Pfizer. Per gli individui che avevano ricevuto AstraZeneca nel ciclo iniziale, l’aumento relativo delle IgG anti spike variava da 1,8 volte per il richiamo con Valneva a oltre 32 volte per il richiamo con Moderna. Per chi aveva fatto il ciclo iniziale con Pfizer, l’aumento variava da 1.3 volte con Valneva a 11,5 con Moderna. Anche la risposta cellulare era migliore dopo un richiamo con Moderna, qualunque fosse il ciclo iniziale. I risultati erano simili nei minori e nei maggiori di 70 anni di età. Sono stati registrati 24 eventi avversi gravi: 5 nel gruppo di controllo, 6 con Valneva, 4 con Novavax, 3 con Pfizer, 2 con Janssen, 2 con Astra Zeneca, 1 con Curevac e 1 con Moderna.
In conclusione, tutti e 7 i vaccini usati per la dose di richiamo hanno aumentato la risposta immunitaria, ma con differenze quantitative da prendere in considerazione per la scelta del vaccino, ammesso che questa non sia obbligata a causa della disponibilità.
A cura di Adriano Cattaneo
1. Munro APS et al. Safety and immunogenicity of seven COVID-19 vaccines as a third dose (booster) following two doses of ChAdOx1 nCov-19 or BNT162b2 in the UK (COV-BOOST): a blinded, multicentre, randomised, controlled, phase 2 trial. Lancet December 2, 2021