Quasi 10 anni fa un epidemiologo italiano, Alessandro Liberati, scrisse un appassionato articolo sul BMJ.(1) Era affetto da mieloma e doveva decidere se sottoporsi a un secondo trapianto di midollo. Tra le evidenze a disposizione c’erano “quattro trials randomizzati i cui risultati non erano stati ancora pienamente pubblicati”. “Perchè,” si chiedeva, “sono obbligato a prendere una decisione sapendo che l’informazione esiste, ma non è disponibile?” E concludeva scrivendo che i “risultati della ricerca dovrebbero essere facilmente accessibili alle persone che hanno bisogno di prendere decisioni sulla propria salute.”
La storia di Alessandro Liberati dà un volto umano ai danni causati dal non rendere pubblici i dati della ricerca.(2) Negli USA, nel 2003, i National Institutes of Health (NIH) hanno pubblicato una dichiarazione sulla condivisione dei dati provenienti da ricerche da essi finanziate: “è essenziale per una rapida traslazione della ricerca in conoscenze, prodotti e procedimenti necessari a migliorare la salute.” Da cui la richiesta per tutti i ricercatori alla ricerca di finanziamenti superiori a 500.000 $ di includere nella richiesta un piano per la condivisione dei risultati. Non è facile assegnare una data d’inizio all’attuale campagna per migliorare l’accesso ai dati della ricerca, ma questa dichiarazione dei NIH potrebbe averne segnato l’avvio. L’iniziativa ha ora assunto carattere globale e coinvolge governi (quelli dell’Unione Europea per esempio), agenzie regolatorie (come l’Agenzia Europea del Farmaco, EMA), agenzie che finanziano la ricerca (Inserm, Wellcome Trust, UK Medical Research Council, NIH, Banca Mondiale e altre) e varie coalizioni di ricercatori. Tutti dicono che una maggiore condivisione accelererà l’innovazione, aumenterà la fiducia del pubblico e migliorerà la salute. Tutti chiedono non solo pieno accesso ai risultati aggregati, ma anche ai dati individuali, nel rispetto della privacy.(3)
Anche le riviste mediche salgono sul treno della trasparenza. Aveva cominciato Annals of Internal Medicine nel 2007,(4) seguito dal BMJ nel 2009.(5) Nel 2012 fece un passo in più e pose come condizione per la pubblicazione di un trial la possibilità da parte degli autori di rendere disponibili dati individuali su richiesta di altri ricercatori.(6) Nel giugno del 2013, il BMJ e PLOS Medicine hanno appoggiato l’iniziativa RIAT (Restoring Invisible and Abandoned Trials) per la pubblicazione dei trial nascosti o pubblicati in maniera incompleta o inaccurata, da parte degli stessi ricercatori iniziali o di altri disposti a rianalizzare i dati, spesso resi disponibili dopo azioni legali.(7) Infine, nel gennaio 2013, è stata lanciata la campagna AllTrials (www.alltrials.net/), cui ha aderito fin dall’inizio anche NoGraziePagoIo. Lo slogan della campagna è “All trials registered, all results reported” (“registrare tutti i trial, rendere noti tutti i risultati”).
Anche alcune multinazionali farmaceutiche stanno rispondendo a queste iniziative, in risposta alle pressioni e alle critiche dell’opinione pubblica. La GSK, per esempio, ha lanciato un portale online che fornisce una lista degli studi finanziati che sono stati approvati, ma non pubblicati, o presentati per pubblicazione (www.gsk.com/explore-gsk/how-we-do-r-and-d/data-transparency.html). I dati di tutti questi studi sono a disposizione dei ricercatori intenzionati ad analizzarli e a pubblicarne i risultati, dopo eventuale approvazione da parte di un comitato indipendente. La GSK è anche tra i firmatari della campagna AllTrials. La Roche, dopo aver riconosciuto la fondatezza delle critiche sulla completezza e l’inaccuratezza dei dati sull’oseltamavir, ha annunciato che renderà I dati disponibili ai ricercatori interessati ad analizzarli (www.roche.com/media/media_releases/med-cor-2013-02-26.htm). Medtronic, un’altra ditta multata per aver nascosto o alterato dati sui suoi prodotti, con successiva riduzione delle vendite, ha sperimentato un nuovo modello di pubblicazione dei dati in collaborazione con l’Università di Yale.(8) Ma vi sono anche ditte che oppongono resistenza. AbbVie e InterMune, per esempio, con l’appoggio dei lobbisti della Pharmaceutical Research and Manufacturers Association (PhRMA) degli Stati Uniti e della European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations (EFPIA), hanno citato in giudizio l’EMA per prevenire la pubblicazione dei dati su due farmaci dietro richiesta di alcuni ricercatori. Nel maggio del 2013 il tribunale europeo ha emesso a questo proposito una sentenza provvisoria che blocca la liberazione dei dati fino a sentenza definitiva. Il quotidiano britannico The Guardian ha pubblicato, dopo esserne entrato in possesso, un memorandum interno di PhRMA e EFPIA; in esso si delinea una strategia volta a “mobilitare gruppi di pazienti perché esprimano preoccupazione sui rischi per la salute pubblica dovuti al riuso non scientifico dei dati” (www.guardian.co.uk/business/2013/jul/21/big-pharma-secret-drugs-trials). Molte associazioni di pazienti hanno ripudiato questa strategia e hanno riaffermato il loro sostegno alla piena accessibilità dei dati. Altre, per esempio lo European Aids Treatment Group, hanno riconosciuto di ricevere fondi dall’industria, ma hanno ugualmente aderito alla campagna per rendere pubblici tutti i dati. Finalmente, nel giugno del 2013, PhRMA ed EFPIA hanno reso noti i loro principi per la condivisione dei dati, chiedendo alle ditte aderenti di applicarli da gennaio 2014. Questi principi riguardano solo alcuni dati per alcuni ricercatori, mentre al pubblico si ri renderebbero accessibili solo dei riassunti; secondo i promotori della trasparenza, si tratterebbe di un ultimo tentativo per salvaguardare la segretezza almeno di una parte dei dati.
Nonostante gli ostacoli frapposti da alcune aziende farmaceutiche, è probabile che tutte le iniziative mirate a rendere i dati delle ricerche totalmente accessibili ai ricercatori, agli operatori della salute e al pubblico andranno a buon fine. Il pubblico è sempre più intollerante all’idea che gli interessi commerciali prevalgano su quelli della salute, ed è sempre più convinto che la ricerca sulla salute sia un bene comune. La campagna AllTrials diventa sempre più forte e vede aumentare progressivamente il numero di firmatari e di sostenitori. Invitiamo soci e simpatizzanti di NoGraziePagoIo che non l’avessero ancora fatto a firmare la petizione ed eventualmente a dare anche un piccolo contributo economico alla campagna.
Riassunto e traduzione di Adriano Cattaneo
1. Liberati A. An unfinished trip through uncertainties. BMJ 2004;328:531
2. Loder E. Sharing data from clinical trials: where we are and what lies ahead. BMJ 2013;347:f4794 http://www.bmj.com/content/347/bmj.f4794?etoc=
3. Gotzsche P. Why we need easy access to all data from all clinical trials and how to accomplish it. Trials 2011;12:249
4. Laine C, Goodman SN, Griswold ME, Sox HC. Reproducible research: moving toward research the public can really trust. Ann Int Med 2007;146:450-53
5. Groves T. Managing UK research data for future use. BMJ 2009;338:b1252
6. Godlee F, Groves T. The new BMJ policy on sharing data from drug and device trials. BMJ 2012;345:e7888
7. Doshi P, Dickersin K, Healy D, Vedula SS, Jefferson T. Restoring invisible and abandoned trials: a call for people to publish the findings. BMJ 2013;346:f2865
8. Carragee EJ, Ghanaem AJ, Weiner BK, Rothman DJ, Bono CM. A challenge to integrity of spine publications: years of living dangerously with the promotion of bone growth factors. Spine J 2011;11:463-8