Definire e concettualizzare i determinanti commerciali della salute

Che cosa hanno in comune tabacco, alcool, carburanti fossili e alimenti ultra-processati come le merendine o le bibite gassate? Queste quattro categorie di prodotti industriali sono correlate a 19 milioni di decessi all’anno nel mondo, pari al 34% del totale dei decessi e al 41% di quelli da malattie non infettive, secondo i dati del Global Burden Disease del 2019, considerati sottostimati.

Danni per la salute possono, inoltre, provenire da altre attività come quelle finanziarie e dell’industria farmaceutica con modalità molto diverse: nel primo caso favorendo atti estremi per tracolli finanziari e nel secondo limitando l’accesso a farmaci essenziali in nome della proprietà intellettuale. Pertanto sono le pratiche commerciali e non solo i prodotti delle multinazionali a nuocere alla salute.

Questo si può verificare grazie alla debolezza delle norme e alla scarsa osservanza di esse, danneggiando maggiormente i paesi a basso e medio reddito e accentuando le disuguaglianze. Si pensi a prodotti farmaceutici o pesticidi messi al bando nei paesi ad alto reddito, ma esportati in quelli a medio e basso reddito insieme a rifiuti tossici, oppure all’esternalizzazione della produzione potenzialmente dannosa per la salute affidata a lavoratori dei paesi a medio e basso reddito, a fronte di introiti per gli investitori dei paesi ad alto reddito.

Nel primo articolo della serie proposta da Lancet sul tema dei CDS si presenta un modello esplicativo con rappresentazione grafica di come gli attori commerciali influenzano la salute e l’equità.

Si tratta di cambiamenti che conducono a strutturare un sistema economico e politico neoliberista progressivamente sempre più globalizzato, nel declino contemporaneo del ruolo e del potere dello stato. Espressioni dirette di questo processo sono il passaggio della gestione della salute dal pubblico al privato, la concentrazione della ricchezza e del potere nelle mani di gruppi molto ristretti, il rafforzamento di una logica di tipo corporativo che risponde agli interessi degli investitori e modella la politica.

Le normative, più che regolare, rafforzano gli attori commerciali nell’esternalizzare i costi produttivi e facendoli sostenere allo stato, alla società, agli individui: si pensi ai danni connessi agli alcolici, al gioco d’azzardo, alla produzione petrolifera o allo smaltimento della plastica. Destinando risorse a contrastare i danni prodotti, si riduce la disponibilità degli investimenti pubblici in qualunque settore, con ulteriore danno sulla salute.

Si possono individuare sette pratiche/attività attraverso cui le multinazionali possono influenzare la salute:

– attività politiche,

– attività scientifiche,

– marketing,

– catena di distribuzione e gestione dei rifiuti,

– politiche di impiego e attività lavorative,

– attività finanziarie

– gestione della reputazione;

quest’ultima al centro di tutte le attività favorendole mediante la legittimazione e la credibilità degli attori coinvolti. I danni generati dalle attività commerciali dipendono dal prodotto, dalla sua commercializzazione, dalla strategia di crescita; aziende operanti in alcuni paesi più facilmente esercitano potere e influenza con limitata probabilità di dover rendere conto del loro operato nei paesi a basso e medio reddito.

Dei profitti da prodotti sviluppati grazie a fondi pubblici si avvantaggiano le aziende che limitano l’accesso ai prodotti a compratori in grado di pagare costi gonfiati, come nel caso di farmaci e vaccini. Tecnologia già sviluppata in ambito pubblico, se usata da un’azienda privata come nel caso di Apple per GPS e display touch screen, passa da conoscenza pubblica a proprietà intellettuale. Questo significa pagare due volte, come cittadini per finanziare la ricerca, come acquirenti pagando un prezzo che paga la ricerca.

I DCS influenzano la salute (livello 6 del modello contenuto nell’articolo) per vie dirette e indirette passando attraverso tutti i 5 livelli superiori:

  1. Un sistema politico ed economico che incoraggia la crescita del PIL a qualunque costo, ignorando gli effetti negativi su salute e ambiente.
  2. Una totale opposizione a qualsiasi forma di regolazione pubblica, imponendo invece regole disegnate per favorire liberalizzazione e privatizzazione.
  3. Una pervadente influenza sulle politiche, comprese quelle di salute pubblica, bloccando o minando quelle che sfavoriscono il libero commercio.
  4. La promozione o imposizione di ambienti (fisici, sociali, digitali, etc.) che favoriscono vendite e commercio, senza riguardo per la salute e l’ambiente.
  5. Il ridotto accesso a prodotti e servizi benefici per la salute e l’ambiente, con la diffusione di lavori insicuri, mal pagati, faticosi e stressanti.

Il riquadro seguente mostra come l’uso molto diffuso di bibite dolcificate in Sudafrica possa essere valutato usando il modello a 6 livelli proposto.

In conclusione, gli imprenditori coinvolti in attività commerciali dovrebbero pagare i costi dei danni che procurano, i governi dovrebbero esercitare il loro potere per regolamentare le multinazionali, le normative andrebbero determinate dall’interesse pubblico, per proteggere la salute comune e non la libertà commerciale.

A cura di Mariolina Congedo

  1. Gilmore AB, Fabbri A, Baum F et al. Defining and conceptualising the commercial determinants of health. Lancet 2023; 401: 1194-213

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