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DSM: la rivolta dei medici (e non solo)

Il 4 dicembre 2011 l’autorevole quotidiano economico italiano “Il Sole 24 Ore” usciva con un titolo stupefacente “DSM: la rivolta dei medici”. Ciò che stupiva non era tanto la notizia dell’ennesima categoria in agitazione quanto il fatto che, questa volta, l’insurrezione di cui si dava conto non è contro qualche limitazione a qualche “guarentigia” professionale ma contro la nuova versione del sistema diagnostico più utilizzato in psichiatria nell’ultimo mezzo secolo. E, ciliegina sulla torta, è risolutamente guidata da uno dei suoi padri: lo psichiatra americano Allen Frances, già coordinatore del DSM-IV (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), la versione attualmente in uso. Il motivo di questa singolare presa di posizione può essere così sintetizzato: il DSM-5, che dovrebbe essere licenziato nel 2013, “inventa” troppe malattie ed espone milioni di persone al rischio di essere non solo etichettate come “disturbate mentali” ma, visto il viraggio verso una interpretazione esclusivamente neurobiologica del disagio psichico, anche a quello di essere inutilmente trattate con farmaci non privi di effetti collaterali.  A questo proposito occorre ricordare che il sistema DSM, acronimo di “Diagnostic Statistical Manual” è nato nel 1952, per iniziativa della American Psychiatric Association (APA) perché, a differenza di quanto avviene in tutte le altre specialità mediche, le “malattie” psichiatriche non solo non hanno alcun riscontro oggettivo ma l’interpretazione dei loro “sintomi”, consistenti solo in pensieri e comportamenti, dipende spesso dall’opinione che la maggioranza ha di ciò che è “normale” in quel tempo e in quel luogo. Il DSM cercava di superare le diatribe scientifico-ideologiche che dividevano le varie correnti della psichiatria attraverso un sistema diagnostico descrittivo, basato cioè sulla presenza o assenza di determinati criteri osservabili indipendentemente dalla teoria di riferimento. Con il tempo, però, il numero dei “disturbi mentali” si è dilatato in maniera direttamente proporzionale all’espansione degli investimenti nel settore della psicofarmacologia e, secondo alcuni critici, anche alle sempre più strette relazioni economiche degli psichiatri con le aziende produttrici. Così, oltre ad Allen Frances, anche la  Society for Humanistic Psychology con altre 45 associazioni scientifiche o professionali ha ritenuto di doversi muovere e ha redatto una lettera aperta all’APA in cui esprime le sue perplessità.

Commento di Mariagrazia Fasoli

Traduzione di Mariagrazia Fasoli dell’appello della Society for Humanistic Psychology