Se una bambina nasce in Canada vivrà 83 anni. Se la stessa bambina nasce in Africa vivrà 55 anni. Alla base di questa disparità stanno le disuguaglianze nell’accesso alle vaccinazioni e all’acqua potabile, il reddito, l’istruzione, oltre ad altri fattori importanti per la salute. Gli obiettivi di sviluppo del millennio termineranno nel 2015, e oggi sta emergendo un nuovo programma di salute globale che ha come priorità la salute mentale, le malattie non trasmissibili e la copertura sanitaria universale. Tutto ciò è positivo, ma l’eccessiva medicalizzazione della salute globale, come di altri aspetti della vita e della salute umana, offre una visione ristretta dei problemi di salute globali e limiterà il successo delle soluzioni proposte.
Soluzioni sociali piuttosto che mediche
La medicalizzazione dei problemi umani si caratterizza per un riduzionismo che ignora il contesto e produce risposte tecnologiche quali medici, farmaci, e strumenti sanitari. Ma è causa di disempowerment ed è costosa, oltre che potenzialmente dannosa. Infatti, la medicalizzazione non affronta le radici dei problemi, distogliendo attenzione e risorse dalle “cause delle cause”. Ad esempio, quando l’Unicef ha concentrato i propri programmi contro la malnutrizione sulla supplementazione con alimenti pronti all’uso, ha spostato l’attenzione e ignorato l’eliminazione delle barriere all’allattamento al seno, il prezzo degli alimenti, le politiche commerciali, e di altre cause all’origine dell’inadeguata alimentazione di madri e bambini. Allo stesso modo, gli investimenti nella vaccinazione di massa per il colera e la distribuzione di soluzioni reidratanti orali per le malattie diarroiche sono soluzioni tecniche a breve termine, mentre il problema più grande è quello dell’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici, causa delle cause della morte di 1,5 milioni di persone dall’anno. La storia insegna che concentrandosi solo sui determinanti medici e sanitari non si otterranno i guadagni di salute globale desiderati. Da molti anni è evidente che i veri determinanti della salute sono sociali e politici: il reddito, l’istruzione, l’alloggio, la governance e l’ambiente. E che il miglioramento della salute e dell’aspettativa di vita non sono il risultato della biomedicina, a cui si deve solamente il 10-43% della salute della popolazione (ndt: il secondo numero è molto ottimistico).
Tre preoccupazioni per la salute globale medicalizzata
Tre delle priorità della futura agenda della salute globale sono: la salute mentale, le malattie non trasmissibili e la copertura sanitaria universale. In tutti e tre i casi, la comprensione e le soluzioni per questi problemi sono declinate a favore della biomedicina a scapito del contesto sociale e politico. Alcuni esempi:
Gli sforzi per migliorare la fornitura di assistenza sanitaria mentale in Sud Africa aumentano la partecipazione e la consapevolezza dei servizi sanitari locali, ma non affrontano le disuguaglianze di genere, le ingiustizie e la povertà, alla radice del problema della salute mentale. Anche raccomandando degli interventi psicosociali in aggiunta ai farmaci, come sta facendo il programma “Mental Health Gap Action” dell’OMS, è possibile che siano trascurati i determinanti sociali e politici.
Per quanto riguarda l’epidemia di malattie non trasmissibili, la risposta è medicalizzata. Le strategie sono volte a modificare il comportamento individuale: un uso maggiore di farmaci, il monitoraggio medico, la diminuzione del consumo di tabacco, dell’alcool e del cibo malsano. L’individualizzazione del problema devia l’attenzione dal contesto sociale ed ambientale che limita le scelte delle persone (ad esempio la disponibilità, l’accessibilità, e l’accettabilità dei prodotti alimentari). Il programma per la lotta alle malattie non trasmissibili è dominato dalla visione dei medici e delle industrie sanitarie che dispensano farmaci per la prevenzione e il trattamento, che non affrontano i determinanti sociali delle malattie non trasmissibili né sono garanzia di salute della popolazione. Per i fattori di rischio dietetici, il programma si basa su strategie “dal basso” per cambiare il comportamento degli individui tramite l’istruzione di massa o la promozione della salute tramite una dieta sana e una vita attiva. Questo trascura i determinanti “dall’alto” della salute, come il marketing. L’evidenza indica anche che i fattori di rischio dietetici e l’inattività fisica sono fortemente influenzati dalla produzione e commercializzazione di pratiche e costrutti sociali piuttosto che dalle preferenze individuali.
Infine, la campagna per la copertura sanitaria universale medicalizza la salute globale rendendo l’accesso alle cure sanitarie la priorità, confondendo sanità con salute. La campagna per la copertura sanitaria universale è in gran parte focalizzata su problemi tecnici e di finanziamento, mentre sono sottovalutate le azioni necessarie al di fuori della settore sanitario, con scarsa attenzione ai determinanti sociali e politici, al diritto alla salute, alla partecipazione della comunità, alle sfide di attuazione a livello nazionale e ai potenziali conflitti di interesse del settore privato. Focalizzandosi sulla prevenzione e le azioni curative a livello individuale, la salute della popolazione potrebbe restare scarsa o addirittura ridursi nonostante la copertura universale.
La miopia del sistema sanitario
La medicalizzazione dei problemi di salute globali rafforza una visione a breve termine mentre per lo sviluppo della salute è necessaria una visione a lungo termine. La visione a breve termine produce un approccio eccessivamente incentrato su interventi come vaccini, farmaci, dispositivi e attrezzature che possono essere rapidamente acquistati e distribuiti. Ad esempio, le strategie per le malattie non trasmissibili destinate ad influenzare le scelte individuali o l’accesso ai farmaci sono “soluzioni rapide” che non avranno un impatto, al contrario di strategie a livello di popolazione, volte ad affrontare determinanti sociali e politici, tra i quali politiche governative come la regolamentazione del marketing, l’etichettatura degli alimenti, l’introduzione di prezzi minimi per l’alcool o la pianificazione urbana per incoraggiare l’attività fisica. La visione a breve termine è supportata dalla crescente attenzione dei donatori sui risultati e l’impatto, che incentiva gli interventi e gli obiettivi facili da implementare, monitorare e misurare. Ma cambiamento e miglioramenti sostenibili sono necessari più di soluzioni mediche e obiettivi a breve termine. Interventi strutturali e politiche per andare alla radice delle cause richiederanno determinazione politica e una visione di lungo termine.
Chi ci guadagna dalla medicalizzazione della salute?
Medicalizzare la salute globale avvantaggia il settore sanitario, ed in particolare l’industria farmaceutica. La medicalizzazione non controllata può causare disease mongering e speculazione, e può portare, piuttosto che ad un vantaggio per la salute pubblica, a causare sovradiagnosi e sovratrattamento con conseguenti danni. La medicalizzazione distoglie l’attenzione dal fatto che l’industria di alcool, alimenti e bevande contribuiscono ai problemi della salute globale, distraendo così da azioni mirate al cambiamento della condotta delle aziende. Dato l’evidente conflitto di interessi, non deve sorprendere che l’industria sostenga la visione di più medici, più medicine, e più prodotti e servizi medicali, nonché l’attenzione al cambiamento del comportamento individuale.
Nel 2011, durante il Summit delle Nazioni Unite sulle malattie non trasmissibili, le lobbies delle aziende alimentari e di bevande hanno contrastato la discussione e l’impegno per le azioni relative agli interventi normativi e fiscali più efficaci. Nel 2013, nel corso dell’Assemblea Mondiale della Sanità, l’industria ha propagandato gli effetti “nocivi” della tassazione e del divieto di marketing. Al contrario, l’industria appoggia strategie meno efficaci come l’approccio educativo individuale per incoraggiare a smettere di fumare, a diventare più attivi e a bere con moderazione. Tutte queste industrie minano attivamente i programmi e le politiche di salute pubblica cooptando politici e professionisti della salute per opporsi alla regolamentazione pubblica, riferendosi all’intervento del governo come uno “stato bambinaia” per oscurare la percezione del pubblico. Questo vale anche per l’industria farmaceutica globale che sta puntando per le malattie non trasmissibili e la salute mentale sui mercati dei paesi in via di sviluppo. Società di ricerca di mercato prevedono che le vendite annuali di farmaci nelle economie emergenti raddoppieranno per raggiungere i 300 miliardi di dollari (230 miliardi di euro) nel 2020, ed entro il 2015 il mercato globale della salute mentale aumenterà sino a 88 miliardi di dollari. La Federazione Internazionale dell’Associazione dei Produttori Farmaceutici stima che 4100 nuovi farmaci sono in cantiere per la cura delle malattie non trasmissibili, e i vaccini per il cancro, le malattie cardiovascolari, il diabete e l’obesità saranno la miniera d’oro del futuro. Per soddisfare la crescente epidemia di salute mentale, sono oltre 200 i prodotti in fase di sviluppo; ed il mercato si espanderà se le nuove aree di trattamento, come il disturbo bipolare e la psicosi, saranno sostenute nei paesi in via di sviluppo. Se questo accade, è probabile che il disease mongering di salute mentale si globalizzi ulteriormente.
Rifocalizzare gli sforzi globali
Anche se il programma di promozione della salute mentale, di lotta alle malattie non trasmissibili e di copertura sanitaria universale è il benvenuto, la medicalizzazione di queste questioni non produrrà i miglioramenti sperati. Dobbiamo sfidare la medicalizzazione attraverso più ricerca partecipativa, l’esclusione dell’industria dalla programmazione dell’agenda, la gestione dei conflitti di interesse, una focalizzazione sul diritto alla salute ed una maggiore attenzione ai determinanti di salute politici e sociali. Insieme, questi sforzi possono ampliare l’ordine del giorno per includere, oltre a soluzioni mediche e tecniche, l’azione sociale e politica, per il miglioramento della salute globale.
Sintesi di un’analisi pubblicata di Jocalyn Clark sul British Medical Journal (BMJ 2014;349:g5457), a cura di Luca Iaboli.