EXPO 2015

Sarà utile? E se sì, a chi? Molti probabilmente si staranno facendo queste domande senza trovare, per il momento, risposte certe. Quello che sembra certo è che EXPO 2015 interessa ad alcune multinazionali del cibo e delle bevande, che hanno fatto a gara per diventare sponsor ufficiali sborsando, immaginiamo, fior di quattrini, con la certezza di ottenerne un buon ritorno in termini di immagine e, probabilmente, di profitti. Se no, perché spenderebbero tanti soldi? Eccovi una paio di considerazioni su questa faccenda; una esterna e una di un NoGrazie.

 

McDonald’s ad Expo 2015: come nominare Erode testimonial di Unicef

 

Dopo Nestlé, acqua ufficiale di Expo, dopo Coca Cola partner soft drink di Expo, ora sbarca alla “fiera del cibo” il simbolo stesso della cattiva alimentazione globalizzata, ovvero McDonald’s. Sarà presente con un ristorante da 300 posti. Il più grande ristorante di Expo, e con il progetto “Fattore futuro” a sostegno della filiera italiana.

 

Se la missione dichiarata dei dirigenti di EXPO e dei molti, più o meno dubbiosi, aderenti a questo evento è  “dare una risposta all’esigenza vitale di garantire cibo sano, sicuro, che non produca obesità e sufficiente per tutti i popoli, nel rispetto del pianeta e dei suoi equilibri”, rendere oggi questa missione compatibile con la partnership di McDonald’s e Coca Cola è cosa per stomaci molto forti. Sarebbe come: “far diventare Erode testimonial d’onore di UNICEF”.

 

É sufficiente ricordare, a proposito dell’industria del fast food, che gran parte del mangime di soia utilizzato per far ingrassare alla velocità della luce i polli è, infatti, coltivato in Amazzonia attraverso la distruzione di rilevanti porzioni di quella foresta che resta il principale polmone del Pianeta, e che 1 Kg di carne e frattaglie tritate produce diversi Kg di anidride carbonica con un disastroso equilibrio fra rendimento alimentare ed inquinamento. Inoltre, non è certo un segreto il contributo che questo tipo di alimentazione fornisce all’obesità e all’ipertensione, patologie caratteristiche della nostra epoca.

 

Speriamo sinceramente di non essere rimasti soli ad indignarci delle continue manifestazioni d’imbroglio culturale che caratterizzano Expo, dell’uso spregiudicato del termine “sostenibilità” e del furto del linguaggio dei movimenti che lo contestano, mentre si fanno scelte che vanno in direzione opposta e contraria.

 

Sono tempi nei quali sembra non esistere più alcun tabù, ma noi vorremmo rivolgere ugualmente un appello alla riflessione a quanti, impegnati in prospettive alternative alla globalizzazione alimentare, hanno dato la loro adesione, seppure in forme diverse, al contenitore Expo, fornendole l’alibi di un impegno sociale per il bene comune del quale francamente si fatica a trovarne traccia.

 

Emilio Molinari e Vittorio Agnoletto, di Costituzione Beni Comuni, Milano, 11 marzo 2015

 

Coca-Cola ad Expo 2015

 

Lo sbiancamento di una coscienza sporca era tecnica usata già in tempi lontani, si parlava allora di sepolcri imbiancati. Oggi il lessico si è aggiornato e si parla di whitewashing, un processo molto usato dalle multinazionali per modificare in positivo la propria immagine di fronte ad un pubblico a volte critico, come ci ha ricordato un articolo di Adriano Cattaneo.(1)

 

Un recentissimo esempio di whitewashing è il Padiglione della Coca-Cola per l’Expo 2015 di Milano.(2) L’opera sarà donata al Comune al termine dell’esposizione ed avrà una seconda vita come spazio dedicato alle attività fisiche a beneficio della comunità locale. Giuseppe Sala, AD di Expo 2015, ha dichiarato che ”Il Padiglione descrive la cornice in cui l’azienda racconterà il proprio modello di sostenibilità, basato sulla promozione di stili di vita attivi e un’alimentazione equilibrata, l’innovazione di prodotto e delle confezioni e la protezione dell’ambiente.” Gli ha fatto eco Kim Alexander, General Manager Coca-Cola per Expo, che ha aggiunto: “il Padiglione rappresenta la ricerca di un equilibrio fra il bisogno di cibo dell’uomo e le risorse disponibili: Coca-Cola ha da sempre lavorato per creare comunità più forti, in salute e attive per la tutela ambientale, anche grazie al modello di cooperazione fra istituzioni, imprese private e società civile”.

 

Fermiamoci un attimo a riflettere: una bottiglietta di Coca-Cola da 250 ml contiene 27 grammi di zucchero, 2 grammi in più rispetto ai 25 consigliati dall’OMS; una lattina da 330 ml ne contiene ben 33 grammi, come mostra un video molto efficace apparso su Youtube.(3) L’OMSanità ha annunciato nel marzo scorso di voler cambiare le linee guida sulla quantità di zucchero da consumare ogni giorno. Si passerebbe dal 10% attuale (considerato rispetto al totale fabbisogno calorico) al 5%. Queste linee guida sono parte dell’impegno dell’OMS all’interno del Global Action Plan for NCDs 2013-2020, per aumentare l’attenzione sul diabete e sull’obesità e ridurre del 25% il carico di nascite premature dovute a queste ed altre malattie non trasmissibili entro il 2025.(4) Basta quindi una Coca-Cola per superare i limiti consigliati, il semel in die è già troppo. In una imbarazzante intervista del 2013 un giornalista della BBC chiede quanto zucchero c’è nella storica bevanda e il presidente della Coca Cola Europe James Quincey deve ammettere a malincuore che nel bicchiere maxi offerto nei fast-food di mezzo mondo di zucchero ne sono nascoste ben 44 bustine!(5)

 

Se riflettiamo sulla nostra appartenenza alla specie Homo sapiens (ma ci meritiamo questo nome?), apparso sulla terra 200mila anni fa, e al consumo di zucchero raffinato, esploso meno di un secolo fa, possiamo facilmente comprendere come il nostro organismo non abbia mai conosciuto una tale abbondanza e disponibilità a poco prezzo di questo componente oggi abituale della nostra dieta. Così ha fatto molto scalpore l’articolo apparso su Nature nel 2012, a firma Robert Lustig, dal titolo inequivocabile “The toxic truth about sugar”, dove si riassume la ‘verità tossica’ in tre punti:

  1. il legame evidente fra consumo di zucchero ed amento delle malattie non trasmissibili;
  2. gli effetti dello zucchero sul nostro organismo, simili a quelli dell’alcol;
  3. l’ampia liberalità nei consumi, per mancanza di regole, soprattutto nelle scuole.

Riguardo ai primi due punti, non si tratta semplicemente di assumere più calorie. Con lo zucchero si modificano profondamente le attività metaboliche, e si può arrivare fino al codice genetico attraverso legami fra il DNA e il fruttosio. Lo zucchero, come l’alcol ed il tabacco, arriva al cervello incoraggiando ulteriori consumi ed inducendo dipendenza attraverso modifiche dei mediatori della fame e della sazietà. Riducendo poi  i segnali dopaminergici ci può capitare di non saper più dire basta.(6)

 

A dicembre 2014 è entrato in vigore un nuovo regolamento europeo che ha cambiato il modo in cui riportiamo le informazioni sulle confezioni dei nostri prodotti e online. Ora sull’etichetta della Coca-Cola è scritta chiaramente la parola zucchero e la quantità per 100 ml, paria a 10,6 g: siamo tutti avvertiti.

 

Giovanni Peronato

 

1. http://www.saluteinternazionale.info/2013/12/bianco-che-piu-bianco-non-si-puo/

2. http://www.expo2015.org/it/presentato-il-padiglione-coca-cola–riciclabile-e-rinnovabile

3. http://www.youtube.com/watch?v=DgDWl4kytA0

4. http://www.who.int/mediacentre/news/releases/2015/sugar-guideline/en/

5. http://www.bbc.com/news/health-25132851

6. http://www.connectwell.biz/pdf/comment_truth_about_sugar.pdf