Da commensali a consulenti: la diseducazione continua…

 

 

Uno dei cambiamenti più rilevanti – ma anche più silenziosi – degli ultimi anni nella sanità non soltanto italiana riguarda le attività del marketing farmaceutico. L’uso sempre più attento dei dati raccolti nel monitoraggio del cosiddetto “ritorno degli investimenti” ha dimostrato ai manager industriali che i soldi spesi per la promozione più tradizionale servono a poco. In poche parole, acquistare pagine pubblicitarie sulle riviste scientifiche o regalare libri utili non cambiano le prescrizioni dei medici: probabilmente perché la lettura non è più un’abitudine dei professionisti (non solo dei medici) o lo è in misura inferiore di un tempo.

 

Negli ultimi quindici anni, poi, una straordinaria opportunità è stata offerta alle aziende: l’educazione continua del medico (ECM). Una cosa estremamente redditizia per le industrie, soprattutto quella residenziale. È un sistema, quello della ECM, molto ben pensato a vantaggio di tutti i protagonisti. Il medico ottiene crediti il più delle volte con il minimo impegno e assolve il proprio debito formativo. Le istituzioni non solo sono sollevate dal proprio onere educativo ma ricevono importanti finanziamenti dalle aziende che, come in Italia nei riguardi di AGENAS, sono obbligate a versare una quota per ogni credito maturato nei corsi da loro sponsorizzati. Le industrie, infine, hanno l’opportunità di mantenere il contatto diretto con i clinici prescrittori, facendo apparire dei messaggi commerciali come contenuti utili all’aggiornamento.(1)

 

Queste dinamiche sono note da molti anni ma sono state oggetto di un’analisi recente che ha confermato come il problema sia purtroppo molto attuale, nonostante un teorico consenso sui rischi che esse comportano.(2) La ECM, negli Stati Uniti, è oggi il modo più utilizzato per aggirare le nuove norme per la trasparenza dei finanziamenti ai medici da parte delle aziende. Quest’ultime, infatti, si servono di agenzie incaricate sia di remunerare i relatori (e talvolta anche i partecipanti), sia di organizzare gli eventi, sia di garantire che i contenuti dei progetti “formativi” rispondano alle necessità del marketing dello sponsor. In questo modo il denaro ricevuto dai medici non deve essere dichiarato pubblicamente come previsto dal Sunshine Act statunitense.(3) “Un tempo le aziende lo chiamavano «invitarci a pranzo» e oggi è diventato «farci fare da consulenti»”.(4)

 

The Milwaukee Journal Sentinel ha pubblicato una analisi (dai risultati purtroppo scontati) sulle attività educazionali centrate sulla “terapia” a base di testosterone: dei 75 corsi valutati, 65 prevedevano la docenza di relatori gravati da conflitti di interesse. È un mercato, quello del testosterone, in costante crescita a conferma dell’efficacia – più che del prodotto – della strategia pubblicitaria. Nel 2000, le prescrizioni di testosterone erano sostanzialmente limitate a non molto frequenti casi di ipogonadismo: meno di un milione di ricette l’anno. Nel 2014 sono salite a 6,5 milioni. Con una parallela crescita di rischio da farmaco: dal 2010 sono state segnalate 3.900 reazioni avverse negli Stati Uniti, che hanno portato a 2.000 ricoveri e a 150 decessi. Senza considerare, perché più difficilmente quantificabile, l’aumento del rischio di cancro della prostata legato all’assunzione di testosterone.

 

Le evidenze a sfavore di questi prodotti sono schiaccianti, al punto che Steve Nissen – clinico della Cleveland Clinic e tra i più apprezzati trialisti americani – è giunto a dichiarare che qualsiasi nuovo studio sul testosterone relegherebbe i cittadini statunitensi al rango di porcellini d’India: cavie, per l’interesse delle industrie farmaceutiche.

 

“Come può un medico far credere che le aziende farmaceutiche possano essere interessate alla formazione?”, si chiedeva Marcia Angell nel libro prima citato. Eh sì, perché il problema di fondo è nell’accettazione di una realtà imbarazzante da parte delle categorie professionali coinvolte in queste dinamiche. L’industria, sosteneva l’ex direttore del New England Journal of Medicine, fa il proprio mestiere ed è, in certa misura, giustificabile. Difficile pensare lo stesso per medici o farmacisti, ma anche per le istituzioni: il beneficio economico di un sistema così congegnato è probabilmente molto inferiore ai costi generati dall’aumento delle prescrizioni diagnostiche e terapeutiche.

 

  1. Angell M. The truth about the drug companies. New York: Random house, 2004. Vedi il capitolo Marketing masquerading as education (pp.135-55).
  2. Fauber J, Jones C, Fiore K. Testosterone courses downplay risks, lead to overuse in older men. The Milwaukee Journal Sentinel; 17 ottobre 2015. Ultimo accesso: 6 novembre 2015.
  3. Physician Payments Sunshine Act. Wikipedia.
  4. Kowalczyk L. Drug firms and doctors: The offers pour in. Boston Globe, 15 dicembre 2002.

A cura de Il Pensiero Scientifico Editore