L’importanza per la salute pubblica di dichiarare i finanziamenti

Anche Catherine De Angelis è una vecchia conoscenza dei NoGrazie. È stata per molti anni editor in chief del JAMA ed ha contribuito, con i colleghi di altre importanti riviste, ad introdurre l’obbligatorietà per gli autori degli articoli di dichiarare i conflitti d’interesse. Si è dimessa dal JAMA nel 2011, è tornata alle sue attività accademiche (professore di pediatria a Baltimora), e si è dedicata, almeno in parte, a questioni di etica professionale.

Ha recentemente pubblicato un articolo sull’importanza per la salute pubblica di dichiarare la fonte dei finanziamenti ricevuti.(1)
Perché, si chiede la De Angelis, è importante per la salute pubblica che questo succeda? E perché è importante che il pubblico abbia accesso ai dati sui pagamenti ai medici da parte delle ditte di prodotti per la salute? La risposta più semplice e immediata potrebbe essere: per onestà e trasparenza. Ma anche perché i direttori e gli editors delle riviste prima, e i lettori e i cittadini poi, sappiano se dietro quella ricerca e dietro la prescrizione di un esame o di un trattamento c’è qualche altro interesse. Dichiarare la fonte di finanziamento di una ricerca non significa certo ammettere che i risultati della stessa siano stati influenzati dagli interessi dello sponsor. Offre però a chi usufruisce
dei risultati della ricerca uno strumento in più per interpretarne i risultati e per valutarne la qualità el’applicabilità.
È abbastanza noto il fatto che sono più probabili dei risultati positivi nelle ricerche che sono finanziate dai produttori del farmaco o altro dispositivo medico sottoposto a scrutinio rispetto a quelle condotte in maniera indipendente.(2) E tutti sanno che la maggior parte dei trial clinici è finanziata dall’industria medica, sia perché la stessa è interessata ad ottenere risultati che le permettano di registrare e vendere i prodotti, sia perché il settore pubblico non avrebbe i soldi per finanziare questa enorme quantità di ricerche.
Ma i cittadini hanno diritto di sapere se dietro la prescrizione che ricevono ci sono i soldi di
un’industria che trae profitto da quella prescrizione. E hanno anche diritto di sapere se il medico che la prescrive ha ricevuto dei finanziamenti, in denaro o in natura, da quella stessa ditta. Soprattutto quando il trattamento che ricevono è costoso e pensano che possa esistere un trattamento altrettanto efficace, ma meno costoso.
Le ditte spendono milioni per “educare” i medici, ogni volta che immettono un nuovo prodotto sul mercato. I rappresentanti delle ditte offrono pranzi e cene, biglietti per spettacoli di vario genere, viaggi per congressi, e mille altre cose. Spesso anche gli oratori dei congressi medici sono pagati dalle stesse ditte, che a volte forniscono tutto il materiale necessario, comprese le diapositive. I medici così “educati”, prescrivono, a volte coscientemente, più spesso senza rendersene conto, i prodotti dello sponsor più di quelli dei concorrenti. La maggioranza di questi medici afferma di non essere influenzata dai regali delle ditte. Ma, se così fosse, perché mai le ditte spenderebbero milioni
per “educare” i medici? I rappresentanti offrono ai medici anche campioni dei loro prodotti, campioni che poi sono consegnati ai pazienti (spesso a quelli più poveri). Questa è una specie di pubblicità diretta al consumatore (proibita in Italia), solo che il canale pubblicitario non è la televisione o un settimanale, ma il medico di cui il paziente si fida.
Fin dai primi anni 2000, molte proposte di legge sulla trasparenza di questi finanziamenti sono state presentate, senza successo, al Congresso degli Stati Uniti. Più successo hanno avuto delle proposte di legge a livello statale, soprattutto nel nordest. Su pressione di vari attori, una proposta è finalmente passata a livello federale nel 2010 e il Sunshine Act è finalmente stato approvato ed è entrato in vigore nel 2013. Tutti i pagamenti dell’industria (non solo quella dei farmaci, anche
l’industria di qualsiasi altro dispositivo sanitario) ai medici sono attualmente disponibili online (https://openpaymentsdata.cms.gov) e possono essere consultati da chiunque. 14

Il database contiene dati molto interessanti su 1444 ditte, 607.000 medici e 1121 ospedali
d’insegnamento. Nel 2014 le ditte hanno effettuato pagamenti per 6.49 miliardi di dollari a medici e ospedali. Di questi, 3.23 miliardi, quasi il 50%, erano per attività di ricerca, compresa però ricerca su farmaci immessi sul mercato molti anni prima. Di particolare interesse per i cittadini sapere che oltre 403 milioni di dollari sono andati ai loro medici per viaggi, alloggio, cibi e bevande, oltre che per intrattenimenti vari. Le ditte più generose, nel 2014, sono state Genentech (373.4 milioni), Pfizer (287.4 milioni) e GlaxoSmithKline (213.1 milioni). Ma praticamente tutte le 1444 ditte hanno pagato qualcosa. Il database è una vera e propria miniera di informazioni per politici, amministratori, ricercatori, operatori sanitari e cittadini. Ogni paziente ha finalmente modo di verificare quanto riceve il suo medico e per cosa. Il solo fatto che un tale database esista ha spinto
molti medici a cominciare a rifiutare i regali delle ditte e a ridurre le visite dei rappresentanti.

Il Sunshine Act ha permesso di fare un po’ di luce su un’area grigia, di rendere pubbliche delle pratiche di cui i cittadini non erano a conoscenza. Spetta a tutti gli interessati, ora, usare questa trasparenza per prevenire i conflitti d’interesse e salvaguardare la salute (oltre che le proprie tasche).

Riassunto e traduzione di Adriano Cattaneo

1. DeAngelis CD. The importance of physicians’ financial disclosure for the public’s health. The Milbank Quarterly
2015;93(4):679–82
2. Lundh A, Sismondo S, Lexchin J, Busuoic OA, Bero L. Industry sponsorship and research outcome. Cochrane Rev.
2012. doi:10.1002/14651858.MR000033.pub2