Cibo industriale: un esperimento fallito

Lustig RH, Lee PR. Processed Food: an experiment that failed .JAMA Pediatrics 2017;171:212-4
Gli scienziati lo sanno: 9 esperimenti su 10 falliscono. Pensiamo, però, a quello che negli ultimi 50 anni è stato un grande esperimento di ricerca clinica, con la popolazione americana come partecipante inconsapevole, condotto da 10 grandi ricercatori (Coca-Cola, Pepsico, Kraft, Unilever, General Mills, Nestlé, Mars, Kellogg, Proctor & Gamble e Johnson & Johnson).

 

Nel 1965, queste multinazionali ipotizzarono che il cibo trattato fosse meglio del cibo reale. Per determinare se l’esperimento è stato un successo o un fallimento, dobbiamo esaminare le variabili di risultato. In questo caso, le variabili sono 4: consumo di cibo, salute/malattia, ambiente e flusso di denaro; divise per aziende, consumatori e società.

Il cibo industriale è definito da 7 criteri di ingegneria alimentare: è prodotto in serie, è uguale da lotto a lotto, è uguale da paese a paese, usa ingredienti specializzati provenienti da aziende specializzate, consiste di macronutrienti pre-congelati, rimane emulsionato, e ha una lunga durata di conservazione o congelamento. Inoltre, 10 proprietà nutrizionali contraddistinguono il cibo industriale.

  1. Troppo poche fibre. Quando si assumono molte fibre (solubili e insolubili), queste formano una barriera gelatinosa lungo la parete intestinale, rallentando l’assorbimento dei nutrienti e nutrendo, al contrario, il microbioma intestinale. Il lento aumento del glucosio determina una riduzione dell’insulina, mentre il lento aumento del fruttosio riduce l’accumulo di grasso nel fegato.
  2. Troppo pochi ω-3 e troppi ω-6. Gli ω-3 sono precursori degli acidi docosaesaenoico (DHA) e eicosapentaenoico (EPA) (anti-infiammatori). Gli ω-6 sono precursori dell’acido arachidonico (pro-infiammatorio). Il rapporto tra gli acidi grassi ω-6/ω-3 dovrebbe essere di circa 1:1. Attualmente, il rapporto è di circa 25:1, favorendo uno stato pro-infiammatorio che può condurre a uno stress ossidativo e a danni cellulari.
  3. Troppo pochi micronutrienti. Antiossidanti, come le vitamine C ed E, eliminano i radicali dell’ossigeno nei perossisomi e prevengono il danno cellulare, mentre altri, come i carotenoidi e l’acido alfa-lipoico, prevengono la perossidazione dei grassi.
  4. Troppi grassi trans. Questi grassi non possono essere ossidati dai mitocondri, si depositano nelle arterie nel fegato e generano radicali liberi. Difatti, l’US Food and Drug Administration ha dichiarato nel 2013 i grassi trans non “generalmente riconosciuti come sicuri”, quindi dovrebbero sparire anche dalla produzione alimentare.
  5. Troppi aminoacidi a catena ramificata. Valina, leucina e isoleucina sono aminoacidi essenziali, importanti per la biosintesi dei muscoli, ma quando sono assunti in eccesso sono deaminati nel fegato e deviati verso la lipogenesi, aumentando il grasso del fegato.
  6. Troppi emulsionanti. Gli emulsionanti trattengono grasso e acqua (ad esempio, lasagne e gelati). Tuttavia, gli emulsionanti sono detersivi e possono spogliare lo strato di mucine che protegge le cellule epiteliali intestinali, predisponendo a malattie intestinali o allergie alimentari.
  7. Troppi nitrati. I nitrati (carne affumicata) possono essere metabolizzati in nitroso ureico, che può predisporre al cancro del colon.
  8. Troppo sale. Circa il 15% della popolazione è sensibile al sale, il cui eccesso può manifestarsi con ipertensione e malattie cardiache.
  9. Troppo etanolo. L’etanolo è convertito in grasso epatico e comporta stress ossidativi. Mentre è chiaramente una preoccupazione negli adulti, è meno probabile che l’etanolo abbia un ruolo nella maggior parte dei bambini, in quanto l’uso è limitato.
  10. Troppo fruttosio. I bambini consumano invece il fruttosio. E in effetti, il fruttosio è metabolizzato nel fegato esattamente come l’etanolo. Lo zucchero (ad esempio, sciroppo di saccarosio e di mais ad alto contenuto di fruttosio) è l’alcol del bambino, il motivo per cui i bambini si ammalano delle malattie da consumo di alcol (per esempio, diabete di tipo 2, dislipidemia e steatosi epatica non alcolica) senza consumare alcol. Inoltre, il 74% di tutti gli articoli dei reparti alimentari contengono zucchero aggiunto; questo fa dello zucchero il marcatore del cibo industriale.

Valutiamo ciascuna delle 4 misure di risultato.

  • La prima è il consumo di cibo. Gli Stati Uniti spendono solo il 7% del PIL in cibo. Questo ci permette, a noi, il paese più obeso al mondo, di comprare di più. Non c’è dubbio che il consumo di cibo è in aumento, un aumento in 187 kcal/die negli uomini, 335 kcal/die nelle donne e 275 kcal/die negli adolescenti dal 1995. Ma quali calorie? Non i grassi, la cui quantità è rimasta stabile; l’aumento è nei carboidrati raffinati, metà dei quali sono zucchero. Negli ultimi 30 anni, mentre la carne è diminuita dal 31% al 21% delle vendite di prodotti alimentari, gli alimenti industriali e i dolci sono aumentati dall’11,6% al 22,9%.
  • La seconda è salute/malattia. Non c’è dubbio che sia l’obesità che il diabete siano aumentati astronomicamente. Il consumo di zucchero predice la sindrome metabolica negli adolescenti, indipendentemente dalle calorie o dal BMI. Quando nei bambini abbiamo sostituito l’amido allo zucchero, la loro sindrome metabolica si è risolta. In realtà, la ricerca dimostra che c’è una stretta relazione tra consumo di zucchero e diabete di tipo 2, dislipidemia e steatosi epatica non alcolica.
  • La terza è l’ambiente. La World Wild Life Federation sostiene che la produzione di colture correlate allo zucchero porta all’erosione del suolo e a una perdita ogni anno di 6 milioni di ettari di terra arabile, come dimostrato in Everglades (Florida)e in Amazzonia. Inoltre, la monocoltura (ad esempio mais e soia) per produrre alimenti industriali ha portato ad un aumento dell’uso di atrazina, della contaminazione da nitrati, allo sviluppo di resistenza agli erbicidi, e alla comparsa di erbe super infestanti.
  • E infine, i flussi di denaro. Fino al 2012, le ditte di alimenti industriali, zucchero e bevande sono andate meglio delle altre, secondo l’indice Standard & Poor 500. Tuttavia, dal 2013, la loro performance di mercato è stata subottimale, come si evidenzia dal licenziamento di 1800 dipendenti della Coca-Cola nel 2014 per risparmiare 3 miliardi di dollari e dal licenziamento del CEO di McDonald’s, Don Thompson. Per i consumatori, il cibo industriale costa la metà di quanto costa il cibo vero, e la sua curva di aumento nel tempo è più bassa; ciò rende apparentemente il cibo industriale un affare, almeno a breve termine. Tuttavia, i soldi spesi per i premi assicurativi, la riduzione in anni di lavoro a causa della disabilità, e l’aumento degli anni di vita persi a causa di malattie croniche a lungo termine depaupera i risparmi dei consumatori. L’assistenza sanitaria è cresciuta dal 2% del PIL nel 1965 al 17.9% nel 2014, e si stima che raggiungerà il 21% entro il 2020. Attualmente, l’industria alimentare incassa 1.46 trilioni di dollari l’anno, di cui il 45% (657 miliardi) di utile lordo. Ma l’assistenza sanitaria costa 3.2 trilioni l’anno, di cui il 75% per le malattie del metabolismo; e il 75% dei costi per la sindrome metabolica potrebbe essere evitato se decidessimo di cambiare la nostra dieta collettiva. Ciò equivale a una perdita di 1.8 trilioni di dollari, il triplo di quanto prodotto dall’industria alimentare. Questo è insostenibile. La riforma sanitaria di Obama non può arginare questa tendenza perché non c’è prevenzione alle malattie a lungo termine se non cambiando la dieta. Ecco perché Morgan Stanley predice una crescita economica dello 0.0% per il 2035 basandosi sul nostro attuale modello ad alto consumo di zucchero, e perché il Credit Suisse ha chiesto una tassazione dello zucchero per limitare le crisi di obesità e diabete. Finora, un referendum su questa tassa ha vinto a Berkeley, San Francisco, Oakland e Albany, in California; a Boulder, Colorado; nella Cook County, Illinois; e a Philadelphia, Pennsylvania.

Alla luce di questi risultati, la conclusione è chiara: gli alimenti industriali sono un esperimento fallito. Il cibo industriale è ricco di zuccheri e basso in fibra. C’è solo un alimento, il vero cibo, a basso contenuto di zucchero e ricco di fibre. Il cibo vero è ciò che il mondo ha mangiato per millenni senza rischio di malattie a lungo termine. E non è quello che le 10 società più grandi dell’industria alimentare stanno vendendo. Un terzo delle madri americane oggi non sanno neanche cos’è il vero cibo o come si cucina; esse e i loro figli sono destinati a rimanere ostaggi dell’industria alimentare. I pediatri dovrebbero fornire una guida anticipatoria. Eliminare il cibo industriale deve essere la priorità numero 1.

Traduzione di Sergio Conti Nibali