Conflitti di interesse tra industria e mondo accademico: cosa bolle in pentola

I tre articoli del NEJM

 

Lisa Rosenbaum, medico e corrispondente del New England Journal of Medicine, supportata dall’editor in chief della rivista, Jeffrey Drazen, ha proposto tre articoli sul conflitto di interesse nella professione medica e nelle riviste scientifiche.(1-3) Nel primo di questi articoli, la Rosenbaum considera come necessario un nuovo inquadramento del rapporto medico-industria e prende come primo esempio le linee guida 2013 ACC/AHA (American College of Cardiology/American Heart Association) sulla colesterolemia per la prevenzione del rischio cardiovascolare firmate da 15 autori di cui 7 con legami con l’industria. A suo giudizio, molte contestazioni verso le indicazioni contenute nelle linee guida sono fittizie: gli autori con conflitto di interesse non potevano votare la qualità dell’evidenza e gli autori liberi da conflitti di interesse potevano stringere rapporti con le industrie solamente dopo la pubblicazione del documento. Inoltre, erano presenti statine generiche, le linee guida indicavano ampi margini di discussione sulle scelte terapeutiche e vi era la garanzia di controllo di un agenzia indipendente, the National Heart, Lung, and Blood Institute. Tra gli altri aneddoti riportati, la vicenda del Vioxx, dove un’errata conclusione dei ricercatori, il non riconoscimento di un grave effetto collaterale, l’infarto del miocardio, avrebbe portato l’azienda farmaceutica a una aggressiva campagna di marketing per il farmaco senza che questo abbia significato una complicità tra ricercatori e industria. È vero anche che molte industrie del farmaco hanno dovuto pagare multe miliardarie per campagne di marketing non corrette, come la promozione off-label di alcuni farmaci. Quando, infine, leggiamo un editoriale firmato da un autore libero da conflitti di interesse gli riconosciamo maggior valore in quanto siamo in posizione di pregiudizio sulla base di alcuni comportamenti dell’industria, senza riflettere se altri ricercatori con legami con l’industria possano proporre riflessioni altrettanto importanti e meritevoli di pubblicazione. Le contestazioni a molte vicende legate al conflitto di interesse finanziario sono viziate da un preconcetto ed è necessario ridurre il rischio di bias così declamato per le relazioni tra industria e medico. Le scienze psicologiche indicano che la sensazione precede la cognizione. Ognuno di noi dà un giudizio emotivo su ciò che vede catalogando il tutto come conflitto di interessi, avidità, industria corruttrice e medico corruttibile, mentre si dovrebbero riconoscere i reali problemi da affrontare come, ad esempio per i casi citati, impegnarsi in una migliore sorveglianza post-marketing per il Vioxx. Sarebbe necessario, inoltre, separare nettamente i ricercatori che sviluppano nuovi trattamenti (industria) da quelli che devono testarli sugli esseri umani (agenzia indipendente).

 

Il secondo articolo analizza la dichiarazione di conflitto di  interesse in uso nelle riviste scientifiche. Comparsa all’inizio del 1980 al fine di proteggere gli interessi dei pazienti da eventuali speculazioni da parte degli interessi delle industrie, si è arricchita nel corso degli anni di nuovi e sempre più particolareggiati obblighi di dichiarazione, fino alla recente legge americana del Physician Payment Sunshine Act, che obbliga a dichiarare pubblicamente ogni dono di valore oltre i 10 dollari per ogni medico. Il fatto di avere rapporti economici con l’industria non prova che vi sia corruzione o che si prescrivano farmaci dannosi o inadeguati; anzi, le financial disclosures più che un mezzo per mantenere l’obiettività scientifica sono un atto ipocrita. Anzi, questa dichiarazione rappresenta nei fatti una discriminazione verso bravi ed esperti ricercatori che oggi non possono o non si sentono di proporre i loro contributi. Lo psicologo George Loewenstein segnala che chi si dichiara senza conflitto di interessi, alla fine, proprio a causa della propria “licenza morale” si sente autorizzato a un comportamento al di fuori della morale. Altri studiosi della psicologia della morale hanno affrontato questo tema, osservando che spesso distorciamo un giudizio fino ad arrivare a una conclusione per la quale non abbiamo certezza. Un comportamento della mente che ci porta a dire: «Posso credere a questo?» se la conclusione è favorevole a me stesso, oppure: «Devo crederci?» se la conclusione è sfavorevole. Una distorsione nella capacità di giudicare che, se rivolto ad altre persone, favorisce un pregiudizio definito bias blind spot, anche se inconsapevole.

 

Nel terzo articolo Lisa Rosenbaum si sofferma sulla diffusa cultura contro le industrie del farmaco presente tra gli studenti universitari rendendo addirittura difficile la credibilità delle lezioni accademiche se tenute da professori coinvolti in progetti industriali. Philip Tetlock, psicologo e scrittore di scienza politica, spiega che quando una persona si sente in qualche modo aggredita sui propri sacri valori – la salute è uno di questi – reagisce in modo violento e insistente, persuasa di considerarsi virtuosa, senza pensare ragionevolmente che, in un mondo dalle risorse non infinite, è necessario sapere che c’è un prezzo implicito o esplicito da pagare. Lo psicologo sociale Jonathan Haidt descrive il nostro ragionamento morale non come una riflessione alla ricerca della verità, ma piuttosto un ragionamento motivato dalle nostre reazioni emotive: se una norma viene violata anche se non è stato perpetrato alcun danno, siamo propensi a costruire delle condanne su prove inesistenti, basando la nostra valutazione non su un giudizio professionale, ma sui sentimenti che guidano il nostro comportamento in modo vendicatorio. Dopo alcuni esempi tratti dal mondo della ricerca medica e dalla politica, la corrispondente del New England giunge alla conclusione che ormai c’è una licenza nel calpestare la credibilità dei medici che hanno rapporti con l’industria con l’ingiusta conseguenza di una mancanza di dibattito su questo tema. La risposta, scrive infine, non è il desiderio di fratellanza tra industria e mondo accademico, ma rispondere alla domanda: «Combattiamo l’uno contro l’altro o combattiamo contro la malattia?».

 

Commenti da altre riviste mediche

 

Gli articoli apparsi sul NEJM sono lacunosi, fantasiosi, fittizi e privi di qualsiasi dato a supporto delle tesi presentate: «Un’idea balorda», questo in sostanza il commento pubblicato sul British Medical Journal da Jerome Kassirer e Marcia Angell, due precedenti Editor in Chief del NEJM, insieme a Robert Steinbrook, professore di medicina a Yale.(4) I commentatori si dichiarano rattristati dal fatto che il venerabile New England, la rivista che per prima nel 1984 appoggiò la dichiarazione di conflitto di interesse, cerchi oggi di ridiscutere le politiche e regole che in questi decenni le riviste di medicina si sono date con lo scopo di rendere l’informazione indipendente e libera da distorsioni, base necessaria per ottenere la fiducia nel mondo della medicina e della letteratura medica. Un conflitto di interesse, ricordano i commentatori, è un insieme di circostanze che creano il rischio di produrre un atto o giudizio professionale su cui un interesse secondario potrebbe indebitamente influenzare un interesse primario, come il benessere di un paziente o la validità di una ricerca. La questione fondamentale è che il conflitto di interesse è sempre presente, sia che un particolare individuo o un’ istituzione venga influenzata dall’interesse secondario oppure no. Non si deve dare per scontato che il guadagno finanziario influenzi il giudizio della maggior parte dei medici o ricercatori. È spesso difficile, se non impossibile, distinguere i casi in cui un guadagno economico può avere un’influenza rispetto alle situazioni in cui non è così.(5) La preoccupazione, quindi, non sta nel sapere se un ricercatore con legami con l’industria è stato comprato dalle aziende farmaceutiche o se un estensore di linee guida si lascerà guidare da motivazioni economiche. Il problema fondamentale, per gli editori e per i lettori, è che non sappiamo se, consciamente o inconsciamente, si procede al di fuori di un agire obiettivo. Il Sunshine Act indica che nel 2014 negli Stati Uniti le aziende industriali hanno eseguito transazioni economiche con medici e finanziato formazione ospedaliera per circa 9 miliardi di dollari; non essendo enti di beneficenza, è ingenuo pensare a una assenza di ritorno economico per una spesa cosi elevata. Le collaborazioni tra industria e medici, fonte indiscutibile di progresso, potrebbero essere costruite con molti meno soldi; i medici che sviluppano prodotti o ricevono royalties non dovrebbero valutare il prodotto. Altri tipi di pagamenti come presentazioni orali, produzione di articoli di revisione, consulenze, rimborso di spese personali distorcono il lavoro e minano l’indipendenza del medico, come è stato ripetutamente documentato. E nessuna scusa per il rimborso spese per pasti, viaggi, alloggio. La politica del conflitto di interesse ha reso più impegnativo, ma non impossibile, trovare autori e corrispondenti di riviste mediche con le competenze necessarie e senza conflitti di interesse. Con l’ascesa di Jeffrey Drazen, dal 2002 questa politica nel NEJM si è molto indebolita ed applicata solo agli autori con significativi interessi finanziari in una società, o concorrente, che fornisce uno specifico prodotto discusso nell’articolo.

 

Anche Elizabeth Loder, responsabile della ricerca, Catherine Brizzell, responsabile della formazione e Fiona Godlee, direttore del BMJ, firmano un editoriale, sempre sul BMJ,(6) dove, profondamente turbate, esprimono il loro dissenso alla scelta del New England di ridiscutere i conflitti di interesse e alla scelta aneddotica portata a sostegno. D’accordo che persone con legami nel settore industriale possano essere in grado di esprimere opinioni imparziali, ma non vi sono possibilità, di riconoscere queste da chi è impropriamente influenzato da considerazioni commerciali. Editoriali, revisioni, linee guida legittimano le conoscenze mediche e danno forma alla pratica clinica: una posta in gioco di grande valore economico. Nel BMJ c’è una tolleranza zero riguardo agli articoli education (Clinical Review, Practice…); la politica della rivista britannica è di offrire visibilità e risalto agli autori liberi da conflitti di interesse. Ed è a questo livello che si esprime con forza la distinzione tra le diverse responsabilità: lo sviluppo di trattamenti da una parte e la valutazione di questi nella pratica dall’altra. È a questo livello che i giovani medici devono fare le loro scelte. Si dovrebbero incoraggiare tutte le riviste mediche a separare le funzioni di costruzione delle prove di efficacia da quelle di valutazione di queste ultime. Ci sono stati negli anni dei buoni comportamenti nell’industria attraverso collaborazioni positive con il mondo accademico, o, per alcune compagnie, l’adesione al movimento per l’accesso ai dati raccolti (il cosiddetto open data), ma questo non significa che si debba abbassare la guardia.

 

Sempre dalle pagine del BMJ il giudizio di Margaret McCartney, medico delle cure primarie, è lapidario: «L’editoria medica è molto redditizia, ma il suo profitto è parassita».(7) Le riviste mediche sono a rischio di inquinamento da parte delle industrie e la pratica dei reprint, le ristampe degli articoli richiesti dalle compagnie, un importante fonte di introito, è uno di questi. Un altro problema per le riviste sono le peer review, la revisione degli articoli da parte di revisori indipendenti, anche se da molto tempo sono segnalate distorsioni, settarismi e scarsa qualità. L’odierna editoria medica è iniqua e insostenibile: i ricercatori sono pagati con il denaro pubblico con ricerche eseguite in contesti universitari o attraverso i sistemi sanitari pubblici, i pazienti sono volontari, i revisori non sono pagati. La ricerca, infine, può essere pubblicata su una rivista open access [vedi newsletter pediatrica 2015 n 2 pag 16], dove il ricercatore deve pagare per renderla disponibile a tutti, oppure su una rivista che richiede il pagamento per la lettura dell’articolo. Il general practitioner conclude il suo commento dichiarando che non abbiamo bisogno delle attuali migliaia di riviste mediche, prodotti costosi e utili solo per gli interessi finanziari e profitti degli editori.

 

C’è un grande conflitto oggi tra chi vede l’industria come un nemico dei valori della medicina e chi, invece, riconosce grandi possibilità in questa collaborazione, riassume il direttore di The Lancet,(8) riflettendo sulle argomentazioni di Rosenbaum. Un medico che ha legami con l’industria è mosso dal desiderio di guadagno? Ragione o sentimento promuovono i nostri giudizi? I conflitti di interesse sono solo finanziari? A quali conseguenze negative potremo arrivare in questa caccia al male e quali benefici non consideriamo in una collaborazione? La corrispondente del NEJM è consapevole delle malefatte del passato e che i regali al medico hanno un’influenza inaccettabile, ma la richiesta di ridiscutere i conflitti di interesse all’interno delle riviste mediche non significa che ci sia un’inversione di tendenza in questa politica. Si tratta di discutere perché, tra queste posizioni opposte utili per chiarirsi le idee, si potrebbe trovare una buona soluzione.

 

Industria del farmaco ed editoria medica

 

Vi abbiamo raccontato, se avete avuto la pazienza di seguirci, un importante confronto su un tema di grande rilievo per la credibilità della medicina tra le riviste più quotate nel mondo della stessa, un comparto editoriale dal fatturato annuo complessivo dell’ordine dei miliardi di dollari, con profitti confrontabili a quelli delle industrie del farmaco. La crescita dell’editoria medica è costante e si sta sempre di più concentrando in pochi e potenti gruppi con la continua comparsa di nuove riviste e articoli pubblicati per anno.(9) I rapporti tra editoria scientifica e industria sono molto stretti, tra investimenti pubblicitari, sponsorizzazioni e soprattutto con la pratica dei reprint. La ristampa di copie di un solo articolo può far fatturare alla rivista oltre un milione di dollari.(10,11)

 

L’industria farmaceutica spende complessivamente in marketing e promozione circa il doppio di quanto investe in ricerca e sviluppo.(12) Mentre una recente ricerca francese segnala la scarsità di nuovi reali avanzamenti nella ricerca farmacologia [tabella], si effettuano i trial-journal pipeline, ossia trial disegnati ad hoc dal compartimento ricerca e sviluppo di un’ azienda con risultati che sostengano le strategie di marketing per un farmaco o dispositivo medico e pubblicati da una rivista scientifica.(13) Questa legittimazione inganna il lettore il quale ripone fiducia di correttezza e imparzialità alla rivista, mentre quest’ultima in realtà diviene, consapevolmente o meno, un veicolo pubblicitario.

 

 

 

Tabella. Nuovi farmaci o farmaci con nuove indicazioni commercializzati in Francia dal 2002 al 2011.(13)

 

 

N. farmaci

%

Scoperta fondamentale, importante novità

2

0.2

Significativo avanzamento clinico

13

1.4

Di valore terapeutico

61

6.4

Minimo valore aggiunto

205

21.7

Nessun valore aggiunto

517

54.7

Più rischio di danno che beneficio

148

15.6

Totale

946

100

Dati incompleti per un giudizio

48

 

Le altre strade del marketing: cronache degli ultimi mesi

 

Relazioni tra industrie e membri di istituzioni accademiche o pubbliche.

 

L’uso indiscriminato di benefit finanziari per piegare le resistenze dei dirigenti pubblici e la pratica della corruzione è ancor oggi ben radicata, come dimostrano recenti episodi in India e Cina.(14,15) Una lunga e dettagliata denuncia contro la presenza di un conflitto di interesse tra multinazionali alimentari e agenzie sanitarie nazionali è stata presentata in Spagna dall’organizzazione VSF Global Food Justice [Confiad en Mì]: la commercializzazione di molti alimenti di scarsa qualità nutrizionale, anche di tipo pediatrico, viene promossa da diverse società scientifiche attraverso finanziamenti o sponsorizzazioni addirittura di cattedre universitarie da parte delle multinazionali alimentari.(16)

 

I trattati commerciali e la salute dei cittadini.

 

I trattati commerciali internazionali, una volta chiamati accordi di libero scambio, tutelano i grandi gruppi industriali multinazionali prevedendo una regolamentazione del commercio, la protezione dell’investimento e della proprietà intellettuale nel paese dove la compagnia è presente. Su queste basi, le industrie del tabacco intendono citare in giudizio il governo inglese a causa della recente legge che obbligherà la vendita dei pacchetti di sigarette senza brand, fatto che ridurrà il fumo e quindi le patologie associate, ma danneggerà le industrie.(17) Arbitrati internazionali costosissimi che non rispondono della legislazione nazionale. Ma questi conflitti legali contro la salute dei cittadini sono presenti anche con le industrie del farmaco? Si, una compgania farmaceutica ha citato in giudizio il governo canadese per 500 milioni di dollari a causa della invalidazione del brevetto di un principio attivo, la atomoxetina.(18) Il Trans-Pacific Partnership è un accordo commerciale internazionale che legherà 12 paesi che si affacciano sul Pacifico con lo scopo di migliorare l’occupazione e l’economia di queste nazioni, in base alle dichiarazioni degli estensori di questo trattato voluto in primis dagli USA. In questo trattato, ancora in corso di definizione, le industrie del farmaco vedrebbero allungati i tempi dei brevetti dei principi attivi, riducendo la possibilità di uso dei farmaci generici, un danno per circa 700 milioni di persone, soprattutto per chi soffre di malattie croniche, dall’HIV al cancro. Secondo alcuni esperti questo trattato favorirà le industrie del farmaco in occasione di eventuali arbitrati per presunto danno di investimento o proprietà d’autore.(19)

 

Proposte

 

Sembra che la medicina basata sull’evidenza abbia le armi spuntate rispetto all’aggressività delle campagne di marketing industriale che usano i più svariati mezzi per diffondere i propri prodotti. Cosa si può fare? Le possibili strade da intraprendere possono essere, secondo due ricercatori esperti in EBM:(20) rendere visibili i dati nascosti, ossia pubblicare quelle ricerche con esiti sfavorevoli che oggi, volentieri, rimangono chiuse nei cassetti delle industrie, promuovere studi non finanziati dalle compagnie del farmaco, cercando tuttavia di risolvere il problema della sostenibilità economica della ricerca, migliorare la pratica dell’evidence based, operare per una scelta condivisa e consapevole della terapia insieme al paziente e, infine, rafforzare – non indebolire – la dichiarazione di conflitto di interesse.

 

Costantino Panza, Pagine elettroniche di Quaderni ACP, Ottobre – Novembre 2015 / Vol. 22 n.5

 

1. Rosenbaum L. Conflicts of interest: part 1. Reconnecting the dots–reinterpreting industry-physician relations. N Engl J Med. 2015; 372 (19):1860-4

2. Rosenbaum L. Conflicts of interest: part 2. Understanding bias–the case for careful study. N Engl J Med. 2015; 372 (20):1959-63

3. Rosenbaum L. Conflicts of interest: part 3. Beyond moral outrage–weighing the trade-offs of COI regulation. N Engl J Med. 2015; 372 (21):2064-8

4. Steinbrook R, Kassirer JP, Angell M. Justifying conflicts of interest in medical journals: a very bad idea. BMJ 2015;350:h2942.

5. Thompson DF. Understanding financial conflicts of interest. N Engl J Med. 1993; 329(8):573-6

6. Loder E, Brizzell C, Godlee F. Revisiting the commercial-academic interface in medical journals. BMJ. 2015; 350:h2957

7. McCartney M. Medical journals and their parasitical profit. BMJ. 2015; 350:h2832

8. Horton R. Offline: The BMJ vs NEJM—lessons for us all. The Lancet 2015; 385(9984):2238

9. Larivière V, Haustein S, Mongeon P. The Oligopoly of Academic Publishers in the Digital Era. PLoS One. 2015;10(6):e0127502

10. Smith R. Medical journals and pharmaceutical companies: uneasy bedfellows. BMJ 2003; 326(7400):1202-5

11. Sismondo S. Ghosts in the machine: publication planning in the medical sciences. Soc Stud Sci. 2009;39(2):171-98

12. Goldacre B.  Bad Pharma. How Drug Companies Mislead Doctors and Harm Patients. Fourth Estate, 2012

13. Light DW, Lexchin J, Darrow JJ. Institutional corruption of pharmaceuticals and the myth of safe and effective drugs. J Law Med Ethics. 2013; 41(3):590-600

14. Jain A, Nundy S, Abbasi K. Corruption: medicine’s dirty open secret. BMJ 2014; 348:g4184

15. Schipani CA, Junhai L, Haiyan X. Doing Business in a Connected Society: The GSK Bribery Scandal in China. University of Illinois Law Review, Forthcoming 2015

16. García Rada A. Links between food manufacturers and Spanish health institutions are highlighted in report. BMJ. 2015;351:h4207

17. Dyer C. Four tobacco companies plan action against UK government over standard packaging. BMJ. 2015; 350:h2865

18. Billingsley, J. Eli Lilly and Company V the Government of Canada and the Perils of Investitor-State Arbitration. Appeal 2015; 20: 27-121

19. Gornall J. New Pacific trade deal-good for pharma, bad for public health? BMJ 2015; 351:h3649

20. Goldacre B, Heneghan C. How medicine is broken, and how we can fix it. BMJ 2015; 350:h3397