“La Gran Bretagna ha un problema di trasparenza con i CdI dei medici”. Inizia con questa frase un articolo di Margaret McCartney sul tema.[1] E magari ce l’avesse solo la Gran Bretagna, aggiungo io! L’articolo prende lo spunto dalla decisione del governo britannico di lanciare una consultazione pubblica su come rendere trasparenti tutti i pagamenti dell’industria della salute agli operatori sanitari e alle loro associazioni. La consultazione, attualmente in corso,[2] è mirata a raccogliere pareri su una possibile legge sul tema. Come abbiamo scritto nella Lettera 94 di luglio-agosto 2021, [3] l’idea di un Sunshine Act fa molta fatica a farsi largo nella perfida Albione.
La McCartney si chiede, però, se l’eventuale trasparenza obbligatoria sia sufficiente a ridurre gli effetti dei CdI, o se non rischi di diventare un’inutile foglia di fico burocratica. Essere in grado di accedere a un sito per verificare se il proprio medico ha ricevuto pagamenti dall’industria è una cosa; un’altra cosa è sapere se quei pagamenti causeranno danno alla mia salute. Paradossalmente, la trasparenza potrebbe essere addirittura dannosa; qualche ricerca fa pensare che un paziente potrebbe fidarsi maggiormente di un medico trasparente e onesto, pur se i consigli e le prescrizioni fossero viziati da CdI.[4]
Secondo l’autrice, le regole stabilite nel 2018 dal NICE (National Institute for Health and Care Excellence) sono preferibili a quelle sviluppata dall’ABPI, la Farmindustria britannica. Prevedono, infatti, che qualunque esperto chiamato a dare un parere faccia un’estesa dichiarazione di CdI e che questa sia verificata da una commissione. Peccato che l’esperienza mostri che anche questa procedura non è a totalmente impermeabile. Come abbiamo scritto nella Lettera 112 di aprile 2023, si è scoperto che un esperto che aveva dato un parere al NICE sul semaglutide, un farmaco per dimagrire, aveva ricevuto pagamenti da Novo Nordisk non dichiarati. Secondo Lisa Bero, molto conosciuta da chi si occupa di CdI, intervistata dalla McCartney, vi sono solide prove scientifiche a dimostrazione di quanto sia difficile per ognuno di noi essere coscienti dei propri CdI. E anche quando i CdI sono riconosciuti e dichiarati, non è facile gestirli e mitigarne gli effetti. Non esistono, che si sappia, istruzioni chiare e universalmente accettate, cioè basate su prove scientifiche, su come gestire i CdI trasparentemente dichiarati nella ricerca, nella pratica medica, nei gruppi che redigono linee guida, o nelle commissioni che valutano le indicazioni per i farmaci. Margaret McCartney ricorda uno studio da lei condotto e pubblicato in cui mostrava come le dichiarazioni di CdI variassero da molto dettagliate (su ogni piccolo dono ricorrente ricevuto) a talmente generiche (ricerca sponsorizzata dall’industria, dettagli disponibili su richiesta) da non servire a nulla. Senza istruzioni chiare, qualcuno tenderà a dichiarare troppo, altri troppo poco.
In conclusione, qualsiasi legge sia varata sulla trasparenza dei pagamenti, la si dovrà giudicare dagli effetti in termini di riduzione dei CdI e dei conseguenti bias. Per il momento, e in attesa di una legge (in Italia il Sunshine Act è in vigore, ma prevedo tempi biblici perché di venti operativo, se mai lo diverrà), meglio astenersi dai CdI con un sonante NoGrazie.
A cura di Adriano Cattaneo
- McCartney M. “You have to be above reproach”: why doctors need to get better at managing their conflicts of
interest. BMJ 2023;382:p1646 - https://www.gov.uk/government/consultations/the-disclosure-of-industry-payments-to-the-healthcare-sector/disclosure-of-industry-payments-to-the-healthcare-sector
- http://www.nograzie.eu/a-ognuno-il-sunshine-act-che-si-merita/
- Sah S, Feiler D. Conflict of interest disclosure with high-quality advice: the disclosure penalty and the altruistic signal. Psychol Public Policy Law 2020;26:-104