Conflitti d’interesse non finanziari

Il 12 aprile 2018 il BMJ ha pubblicato due interessanti articoli sui conflitti d’interesse non finanziari; un faccia a faccia tra chi pensa che debbano essere dichiarati e chi no,(1) e un commento a favore della dichiarazione del proprio credo religioso.(2)

 

Nel primo caso a darsi battaglia sono degli esperti di bioetica. Wiersma, Kerrdige e Lipworth, australiani, sostengono che i conflitti d’interesse di carattere individuale, politico, ideologico e religioso dovrebbero sempre essere dichiarati; spesso, o quasi sempre, non lo sono, eppure possono influenzare gli obiettivi della ricerca, il disegno, la raccolta dei dati, la loro analisi, e l’interpretazione dei risultati. Secondo loro, per esempio, la prospettiva della fama può essere più seducente della prospettiva di accumulare una fortuna, e può quindi influenzare i comportamenti in maniera preminente. Essere un key opinion leader può valere più delle somme elargite dall’industria per assegnare questo ruolo o di un viaggio aereo in prima classe. A sostegno di questa posizione, questi autori portano esempi di revisioni sistematiche e di graduatorie per l’assegnazione di fondi per la ricerca influenzate da interessi non finanziari, oppure il ben noto fatto dei rapporti tra credo religioso e ricerca sulle cellule staminali. Di fronte alla possibile obiezione riguardante la difficoltà di gestire i conflitti d’interesse non finanziari, questi autori affermano che dovrebbero essere gestiti esattamente come quelli finanziari (che a loro volta non sono semplici da gestire, ndr). Ci vuole tuttavia una certa discrezione, visto che a volte si entra in sfere molto private.

Per un no alla dichiarazione dei conflitti d’interesse non finanziari parteggia invece lo statunitense Marc Rodwin. A suo parere, equipararli a quelli finanziari farebbe rientrare tutti i conflitti d’interesse nella categoria dei bias, mentre il controllo di quelli finanziari appartiene alla sfera legale, cui non possono appartenere i conflitti d’interesse non finanziari. La legge prevede che ci sia un rapporto fiduciario tra un professionista che svolge un ruolo come quello medico e le persone che a questi si affidano. In questo rapporto fiduciario, il professionista è obbligato ad essere leale alla persona di cui si prende cura e che, direttamente o indirettamente, lo paga. Se una terza persona o istituzione o ditta paga il professionista perché favorisca interessi commerciali altrui, il rapporto di fiducia e lealtà si rompe proprio dal punto di vista legale, prima che etico. Un interesse a mantenere la reputazione, o a fare carriera, sono cosa ben diversa e non di per sé perseguibile dalla legge. Ridefinire tutto come conflitto d’interesse rende il concetto meno pratico, oltre ad allargare il campo a interessi (intellettuali, politici, ideologici, religiosi, etc) che sono ineliminabili. La società ha sempre cercato di regolare i conflitti d’interesse finanziari di politici, giudici, avvocati e professionisti della finanza, ma si guarda bene dal regolare i loro conflitti d’interesse non finanziari.

“Nel dubbio, dichiara”, è la battuta di buon senso con cui iniziano il loro articolo Smith e Blazeby. Proseguono ricordando come il credo religioso abbia un’importanza enorme nelle decisioni di salute individuale e collettiva, facendo l’esempio dell’interruzione volontaria di gravidanza e del suicidio assistito. Per questa semplice ragione, i due sono decisamente a favore di un obbligo di dichiarazione per i conflitti d’interesse dovuti al credo religioso. A sostegno della loro posizione, citano la classica definizione di Thompson del 1993: “ Il conflitto di interessi è un insieme di condizioni in cui il giudizio professionale concernente un interesse primario (come il benessere di un paziente o la validità di una ricerca) tende ad essere ingiustificatamente influenzato da un interesse secondario (come un guadagno finanziario)”. Marc Rodwin, nel 2017, aveva fornito una definizione alternativa: “Vi è un conflitto d’interessi quando delle attività o delle relazioni compromettono la lealtà o il giudizio indipendente di un individuo che ha il dovere di servire delle persone o di svolgere determinati ruoli”. Ancora una volta introducendo concetti legali che, se applicati, non permetterebbero a un medico che ha in cura una persona di rifiutare un intervento dovuto. Proprio per questo ostacolo di carattere legale si ricorre alla possibilità dell’obiezione di coscienza che però, come ben sappiamo, è un’arma a doppio taglio.

A cura di Adriano Cattaneo

  1. Wiersma M, Kerridge I, Lipworth W, Rodwin M. Should we try to manage non-financial interests? BMJ 2018;361:k1240
  2. Smith R, Blazeby J. Why religious belief should be declared as a competing interest. BMJ 2018;361:k1456