Finanziamenti USA della Coca Cola

Ricordate la serie di articoli del BMJ che denunciavano i legami tra Big Sugar e istituzioni accademiche inglesi, con i relativi conflitti d’interesse tra ricercatori e industria? Ne abbiamo scritto nella Lettera n. 33 del mese di maggio 2015. Tra quei Big Sugar non poteva mancare la Coca Cola. E poteva questa non agire allo stesso modo anche in patria, cioè negli USA? Ovviamente no.

Un’inchiesta del New York Times rivela che la ditta ha investito oltre 120 milioni di dollari negli ultimi 5 anni per finanziare centri di ricerca e singoli ricercatori e medici, ma anche una fondazione per il National Institute of Health, perché con le loro ricerche e pubblicazioni spostassero le accuse verso le cause dell’obesità dalle bevande zuccherate alla mancanza di attività fisica.(1) Il messaggio per il pubblico doveva essere: se volete mantenere il peso forma, fate molta attività fisica, e non preoccupatevi molto di ciò che bevete. Allo scopo, la ditta ha finanziato anche la creazione di un’associazione no profit, chiamata Global Energy Balance Network. Questo tentativo di deviare l’attenzione dall’assunzione di bevande zuccherate aveva anche due secondi fini: a) sgonfiare le proposte, negli USA e in molti altri paesi, di una sovrattassa per diminuirne il consumo, e b) tentare di far risalire le vendite, diminuite del 25% negli ultimi anni negli USA.

 

Barry Popkin, professore di nutrizione globale presso l’Università del North Carolina a Chapel Hill, ha commentato l’inchiesta del New York Times dicendo che il sostegno di Coca-Cola a importanti ricercatori gli ricordava le tattiche usate dall’industria del tabacco, che arruolava esperti perchè diventassero “mercanti di dubbio” per i rischi del fumo per la salute. Marion Nestle, autrice del libro “Le politiche delle bevande gassate” e professore di nutrizione, studi alimentari e salute pubblica alla New York University, è stata particolarmente brusca: “Il Global Energy Balance Network non è altro che un gruppo di facciata per la Coca-Cola, il cui programma è molto chiaro: fare in modo che questi ricercatori confondano la scienza e distolgano l’attenzione dall’alimentazione”. Kelly Brownell, decano della facoltà di Public Policy presso la Duke University, ha detto che Coca-Cola “come suo business, si focalizzata sul premere perché entrino un sacco di calorie, ma come filantropo si focalizza sulle calorie che escono fuori con l’esercizio”.

 

L’inchiesta era molto ben documentata, le prove inoppugnabili. Tant’è vero che il CEO della ditta, Muhtar Kent, non ha potuto far altro che ammettere che era vero e promettere trasparenza. Pochi giorni dopo Coca Cola ha pubblicato la lista di tutte le persone e istituzioni che avevano ricevuto soldi per partecipare al programma di “ricerca”: si tratta di centinaia di piccoli e grandi finanziamenti. L’American Academy of Pediatrics, per esempio, aveva ricevuto 3 milioni di dollari. Alcuni dei beneficiari hanno semplicemente ammesso (che altro potevano fare?); altri hanno tentato di giustificarsi; pochi hanno deciso di restituire i soldi (l’Università del Colorado ha restituito un milione, per esempio). Il capo del dipartimento di ricerca della Coca Cola, che aveva orchstrato il programma, si è dimesso, o è stato costretto a dimettersi. Il Global Energy Balance Network è stato smantellato. Tutto è bene quello che finisce bene? In parte sì. Ma quanti danni sono stati fatti in quei 5 anni e quanto tempo (e denaro) ci vorrà per rimediarvi? E siamo sicuri che gli strateghi delle pubbliche relazioni della Coca Cola non se ne inventino di nuove, e magari di più sofisticate, per raggiungere gli stessi obiettivi? E, la butto lì, cosa succede negli altri paesi, l’Italia per esempio, dove non c’è un New York Times?

 

Adriano Cattaneo

 

1. O’Connor A. Coca-Cola Funds Scientists Who Shift Blame for Obesity Away From Bad Diets. New York Times, 9 August 2015 http://well.blogs.nytimes.com/2015/08/09/coca-cola-funds-scientists-who-shift-blame-for-obesity-away-from-bad-diets/?_r=0