GlaxoSmithKline smetterà di pagare i medici per pubblicizzare i farmaci

Ne parla il New York Times del 16 dicembre 2013. Andrew Witty, amministratore delegato della GSK, ha dichiarato che, per “stare al passo con i cambiamenti in corso nel mondo”, la sua azienda non pagherà più i medici per fare promozione dei suoi prodotti e i suoi rappresentanti non verranno più remunerati in base al numero di prescrizioni fatte dai medici. L’annuncio, il primo del genere da parte di una grande ditta farmaceutica, arriva in un momento particolarmente delicato per il gruppo: in Cina è in corso un’indagine per corruzione e GSK è accusata di avere pagato illegalmente medici e funzionari governativi per incrementare le vendite dei suoi farmaci. Witty, sostenendo che l’inchiesta cinese non ha nulla a che fare con la sua decisione (anche se dall’inizio dell’indagine le vendite dei suoi prodotti sono notevolmente calate), ha spiegato che dopo 40 anni è ora di cambiare modalità operative per renderle più efficaci. In pratica sarebbero ormai fuori moda le conferenze tenute da medici stimati che parlano ai colleghi in favore dei farmaci delle aziende.

 

Non è forse un caso che dal prossimo anno, in base alla riforma sanitaria di Obama, ogni tipo di pagamento fatto dalle industrie farmaceutiche dovrà essere reso pubblico. GSK non solo smetterà di pagare i conferenzieri, ma anche i partecipanti a meeting medici dove si parla dei farmaci dell’azienda o delle malattie da curare con essi. La consuetudine di finanziare la partecipazione ai meeting, proibita negli Stati Uniti da un codice etico sostenuto dall’industria, è ancora ammessa in svariati paesi compresa la Cina, dove GSK è accusata di avere pagato medici per partecipare a conferenze che non hanno mai avuto luogo. Cosa diversa sono le ricerche di mercato, per le quali GSK continuerà a pagare ai medici consulenze ritenute necessarie per sapere cosa pensano dei suoi prodotti.

 

Il professor Jerry Avorn della Harvard Medical School, che in passato si era pronunciato contro le prassi di marketing delle industrie farmaceutiche, ha apprezzato l’iniziativa, sostenendo che “è un primo, piccolo passo per un’informazione corretta sui farmaci, che non è quella che si può ascoltare a una conferenza finanziata dalla ditta produttrice”; ha tuttavia fatto notare che GSK continuerà a fornire quelli che definisce “fondi per attività educative indipendenti e non sollecitate dall’azienda”, attività che nel passato sono state appaltate a provider commerciali che non hanno fornito informazioni veramente indipendenti.

 

Un’altra motivazione della mossa di GSK può essere il tentativo di raggiungere meglio i medici sempre più occupati, che non trovano il tempo di viaggiare e di partecipare alle conferenze. A partire dal 2015 GSK smetterà inoltre di pagare i propri rappresentanti farmaceutici in base al numero di prescrizioni firmate dai medici, una consuetudine diffusa che, favorendo la pratica di consigliare l’uso dei farmaci per indicazioni non approvata, è già costata all’azienda 3 miliardi di dollari in multe. La nuova politica, già applicata per i rappresentanti negli USA dal 2011, verrà adottata in tutto il mondo, e si baserà sulle conoscenze tecniche, sulla qualità del servizio fornito ai clienti allo scopo di migliorare l’assistenza ai pazienti, e sulla performance commerciale dell’azienda. Il dottor Dweik, a capo del comitato sui conflitti d’interesse della Cleveland Clinic, ammette il proprio disagio quando i rappresentanti farmaceutici che incontra gli forniscono informazioni di cui era all’oscuro, compreso il numero delle sue prescrizioni dei farmaci della loro azienda, e si augura che l’iniziativa di GSK si estenda ad altre aziende.

 

David Pittman, corrispondente del giornale semi-indipendente MedpageToday, dal suo osservatorio di Washington ha raccolto la sensazione che stia per verificarsi un effetto domino provocato dalla mossa a sorpresa della multinazionale britannica. Sostiene che, anche se alcune aziende si erano mosse in anticipo, senza fare chiasso, prima del Sunshine Act del 2010, che da quest’anno obbliga a pubblicare ogni spesa promozionale fatta a favore dei medici, il colpo di scena di GSK potrebbe portare, per imitazione, molte ditte di medicinali e di apparecchiature medicali a seguirne l’esempio. Meno entusiasta è il commento di Peter Weber, che su Week del 17 dicembre sostiene che un’iniziativa potenzialmente in grado di incidere a fondo sui conflitti di interesse e sulle tangenti pagate ai medici, specie se seguita da un numero crescente di aziende, non darà necessariamente i risultati attesi.

 

Le aziende americane pagarono nel solo 2012, come risulta da un rapporto del Financial Times, più di un miliardo di dollari ai medici (in cima alla classifica si trovano Merck, Eli Lilly e Pfizer). La GSK decide ora, dopo le pesanti condanne subite per i propri comportamenti disonesti in vari paesi (per ultima la Cina) di spostare le decine di milioni di dollari impiegati finora nell’influenzare le prescrizioni mediche verso un uso più corretto. L’amministratore delegato sostiene che si sta cercando di “mettere un riparo al deterioramento di immagine”. Al di là del luccichio degli annunci, bisogna dire che probabilmente le nuove regole non cambieranno di molto la situazione attuale negli Stati Uniti dove, in seguito al patteggiamento con il dipartimento di giustizia, GSK le ha già adottate in larga misura, e in più si sta costituendo il database governativo che, per il Sunshine Act, raccoglierà tutti i dati relativi a ogni pagamento fatto ai medici dall’industria. Sta inoltre cambiando la politica dell’informazione delle aziende per favorire le vendite: le prescrizioni di specialisti ben informati stanno sempre più spesso rimpiazzando quelle dei medici generici. Dal 2006, quando fu raggiunto il picco massimo di 105.000, sono stati lasciati per strada decine di migliaia di rappresentanti. Infine, i cambiamenti annunciati da GSK non paiono così decisivi e lungimiranti come potrebbe sembrare; si dice che occorrerà comunque educare i medici sui propri prodotti e che verranno finanziati dei “grant educazionali indipendenti” utilizzando quelle agenzie for-profit che hanno potuto contare in questi anni sulla generosità delle aziende. Al di là di dubbi e cautele, un plauso va comunque a GSK per aver fatto un passo avanti per ripulire quelle pratiche di marketing che hanno fatto crescere a dismisura i costi dei medicinali riempiendo ancora di più gli scrigni già traboccanti dell’industria del farmaco.