Nella Lettera 79 del marzo 2020 scrivevo come si debba alla Serenissima, causa il ripetersi di epidemie di peste, l’istituzione del Lazzaretto e delle misure di quarantena per gli infetti. Va aggiunto anche che i medici della peste per primi istituirono a Venezia l’uso della mascherina come si vede nei curiosi disegni che li raffigurano.
Oltre alla maschera con il lungo naso, contenente una spugna imbevuta di aromi o aceto per allontanare i miasmi del contagio, il medico portava un bastone che serviva a toccare indirettamente il malato e i suoi oggetti, forse antesignano del distanziamento sociale.
Dopo la terribile pestilenza del 1575/77, che fece più di 50mila morti in una città di 180mila abitanti, furono approntati documenti di attestazione di non contagiosità che permettevano la circolazione di uomini e merci, veri e propri passaporti sanitari. Abbiamo così le ‘fedi di sanità’, autocertificazioni in genere compilate a mano da un impiegato comunale che attestava la sanità del latore. Le ‘fedi di sanità’ erano documenti richiesti dai barcaioli che portavano la gente da un’isola all’altra e da una riva all’altra del Canal Grande, non attraversato da alcun ponte fino al 1591, anno di inaugurazione di Rialto.
C’erano poi le ‘patenti di sanità’, documenti a stampa, in genere più complessi, rilasciati e ricontrollati dalle autorità sanitarie, per evitare frodi e contraffazioni. Per ricevere la patente e poter entrare a Venezia con la mercanzia, il capitano della nave doveva elencare accuratamente il luogo di partenza, i porti toccati e se ci fossero stati attacchi di pirati durante il viaggio. In quest’ultimo caso la quarantena era d’obbligo. In assenza di epidemie, le ‘patenti’ erano fornite anche alla partenza da Venezia, a volte citata nel documento come ‘Dominante sana’. Per dichiarazioni non veritiere erano previste pesanti sanzioni, fino alla pena di morte.
Giovanni Peronato