Le statine sono una classe di farmaci ampiamente usata efficaci nel ridurre i livelli plasmatici di colesterolo. Ma quanto sono efficaci e sicure nel ridurre il rischio cardiovascolare? Sicuramente meno di quanto si creda. Un articolo recentemente pubblicato ci mostra come la ricerca sulle statine è caratterizzata da una strategia di presentazione dei dati in cui le statistiche di rischio relativo e rischio assoluto sono state volutamente utilizzate da un lato per amplificare l’apparenza del beneficio, dall’altro per minimizzare i seri eventi avversi.(1) Analizzando i dati degli studi in modo trasparente è chiaro come per un beneficio molto limitato, si vada incontro a frequenti effetti collaterali. Vista la diffusione di questa categoria di farmaci, il risultato sarà che milioni di persone sane diventeranno pazienti e sperimenteranno effetti avversi senza beneficio.
Premessa
Le statine sono farmaci che riducono i livelli di colesterolo tramite l’inibizione dell’enzima HMG-CoA reduttasi. Oggi milioni di persone assumono statine, e il numero degli utilizzatori di questi farmaci è destinato a crescere con l’introduzione di nuove linee guida che ne espandono ulteriormente l’uso.
Ma il colesterolo è un fattore causale delle malattie cardiovascolari? La risposta a questa domanda sembra scontata, ma non è così, tanto che per decenni vi è stata un’accesa disputa tra i sostenitori del nesso causale tra il colesterolo e la malattia coronarica e gli scettici che considerano il colesterolo come un componente vitale del metabolismo cellulare. Gli argomenti dei primi si basano sulla presenza di colesterolo nel tessuto aterosclerotico e su studi che dimostrano un’associazione tra elevati livelli di colesterolo e malattia coronarica. Gli scettici, al contrario, enfatizzano come manchi un legame di causa-effetto tra elevati livelli di colesterolo e malattia coronarica. In effetti, una ricerca estesa ha documentato che la malattia coronarica può presentarsi indipendentemente dai livelli di colesterolo, e che anziani con bassi livelli di colesterolo risultano avere un’aterosclerosi sovrapponibile a quelli con livelli di colesterolo elevati.
Tornando alla domanda iniziale: il colesterolo è un fattore causale delle malattie cardiovascolari? Di sicuro i sostenitori del nesso di causalità hanno avuto la meglio, promuovendo la visione che “non c’è nessun dubbio circa il beneficio e la sicurezza del ridurre i livelli di colesterolo”, e definendo le statine come “farmaci miracolosi” e “l’invenzione più potente per prevenire eventi cardiovascolari”. Anche gli scettici riconoscono che il trattamento con le statine sembra ridurre gli eventi coronarici, ma un’ispezione attenta mostra come il beneficio sia molto più limitato rispetto a quanto è stato raccontato ai medici e al pubblico, e che l’effetto potrebbe derivare da altri meccanismi piuttosto che dalla riduzione dei livelli plasmatici di colesterolo.
Come la statistica ha fatto apparire le statine sicure ed efficaci
Negli esempi successivi si mostrerà come l’apparenza dell’efficacia dipenda dal fatto che i risultati sono stati descritti sfruttando il “rischio relativo” e disegnando e interpretando gli studi in modo da minimizzare gli effetti collaterali. Ma prima di analizzare i dati degli studi, è necessario comprendere la terminologia usata nella ricerca che riguarda tre termini statistici: riduzione del rischio relativo (Relative Risk Reduction), riduzione del rischio assoluto (Absolute Risk Reduction) e numero di persone da trattare (Number Needed To Treat). Per chiarire questi termini, consideriamo uno studio durato 5 anni e che ha coinvolto 2000 individui sani di mezza età. L’obbiettivo di questo studio era verificare se le statine possono prevenire una malattia coronarica. A metà dei partecipanti è stato somministrato un placebo (sostanza priva di principi attivi) e all’altra metà una statina. Durante i 5 anni di studio circa il 2% degli individui che assumono il placebo hanno un infarto miocardico non fatale contro l’1% degli individui che assumono la statina. La statina è stata quindi di beneficio all’1% degli individui e 1% è la riduzione del rischio assoluto. Messa in un altro modo, la probabilità di non avere un infarto miocardico non fatale è del 98%, mentre assumendo una statina questa probabilità si riduce ulteriormente dell’1% e arriva al 99%. Il numero di persone da trattare per ottenere un beneficio, uguale a “100/riduzione del rischio assoluto” in questo caso è 100, cioè è necessario trattare 100 persone per 5 anni perché 1 ne abbia un beneficio.
Quando si tratta di presentare i risultati della ricerca ai medici o al pubblico, i responsabili della ricerca sanno che le persone non saranno impressionate dall’aumento di un 1% e invece di usare la riduzione del rischio assoluto, presentano il beneficio in termini di riduzione del rischio relativo (RRR). La riduzione del rischio relativo deriva dalla riduzione del rischio assoluto ed esprime la differenza nella presenza di malattia tra i due gruppi con una frazione. Quindi, usando la riduzione del rischio relativo, i responsabili della ricerca possono dire che la statina, anziché ridurre l’incidenza di infarto miocardico non fatale da 2% a 1%, riduce l’incidenza di infarto miocardico del 50%, dato che 1 è il 50% di 2.
Un esempio di come l’effetto delle statine è stato ingigantito
Per illustrare come nei media e nella letteratura medica un effetto trascurabile del trattamento con le statine sia stato ingigantito usando la riduzione del rischio relativo, qui di seguito viene proposta un’analisi dello studio JUPITER che ha promosso l’uso della rosuvastatina. Leggendo l’articolo originale che trovate in bibliografia, trovate esempi simili tratti da altri studi che hanno promosso l’uso dell’atorvastatina (Anglo-Scandinavian Cardiac Outcomes Trial-Lipid Lowering Arm – ASCOTLLA) e della simvastatina (The British Heart Protection Study).
JUPITER: in questa ricerca la rosuvastatina o un placebo sono stati somministrati a 17.802 persone sane con un’elevata PCR, ma senza storia di malattia cardiovascolare o elevati livelli di colesterolo. L’obbiettivo della ricerca era verificare nei due gruppi l’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori, definiti come infarto miocardico non fatale, ictus non fatale, ospedalizzazione per angina instabile, necessità di rivascolarizzazione arteriosa, o morte secondaria ad eventi cardiovascolari. Lo studio è stato interrotto dopo un follow-up medio di 1,9 anni. Il numero di soggetti che hanno avuto eventi cardiovascolari maggiori è 251 (2.8%) nel gruppo di controllo che assumeva il placebo e 142 (1.6%) nel gruppo che assumeva la rosuvastatina. La riduzione del rischio assoluto è del 1.2% e il numero di persone da trattare (100/1.2%) è quindi 83. Nella ricerca, il beneficio per quanto riguarda il numero di infarti miocardici fatali o non fatali è anche meno: ci sono stati 68 (0.67%) eventi nel gruppo del placebo contro 13 (0.35%) nel gruppo della statina, corrispondenti a una riduzione del rischio assoluto di 0.41% e un NNT di 244, che equivale a dire che 244 persone devono essere trattate per 1,9 anni per prevenire un singolo infarto miocardico fatale o non fatale. Questo significa che per quanto riguarda gli infarti miocardici fatali e non fatali, meno dell’1% della popolazione trattata (lo 0,41%) ha beneficiato del trattamento con la rosuvastatina. Nonostante questo effetto striminzito, sui media il beneficio del farmaco è stato riportato con frasi del tipo “oltre il 50% evita un infarto miocardico”, dato che 0.41 è il 54% di 0.76. Quindi i medici e il pubblico sono stati informati di una riduzione del 54% degli infarti quando in realtà la riduzione effettiva nella popolazione trattata è di meno di 1 punto percentuale. Inoltre, la riduzione del rischio assoluto di 0.41% deriva dall’insieme di infarti miocardici fatali e non fatali. É stata prestata poca attenzione al fatto che sono morte più persone di un infarto nel gruppo che assumeva il farmaco e anche ricercatori esperti possono non aver considerato questo dato poiché non veniva esplicitato nella pubblicazione. I numeri sono nascosti in una tabella dell’articolo pubblicato: sottraendo il numero di infarti non fatali dal numero di tutti gli infarti risulta infatti che nel gruppo che assumeva la statina si sono verificati 11 infarti fatali, mentre nel gruppo di controllo solo 6.
Nonostante il minuscolo effetto della rosuvastatina, nei media i risultati di JUPITER sono stati gonfiati. Su Forbes Magazine, John Kastelein, uno dei coautori dello studio ha proclamato: “É spettacolare, finalmente abbiamo dei dati robusti che una statina previene un primo infarto miocardico”. Questa e altre dichiarazioni trionfanti hanno convinto l’agenzia regolatoria del farmaco americana (FDA) a raccomandare il trattamento con rosuvastatina anche a persone con normali livelli di colesterolo ed elevata PCR. Nella pubblicazione dei risultati di JUPITER, non sembra esserci differenza negli effetti avversi dei due gruppi. Comunque, nel gruppo trattato con il farmaco c’erano 260 nuovi casi di diabete contro i 216 del gruppo di controllo (3% vs 2.4%; p<0.01). Al contrario degli effetti benefici del farmaco amplificati usando il rischio relativo, l’effetto significativo dell’aumento dei nuovi casi di diabete nei pazienti che assumevano la rosuvastatina è stato espresso solo in forma di aumento del rischio assoluto. Una valutazione oggettiva di JUPITER avrebbe dovuto essere comunicata in questo modo: “La probabilità di evitare un infarto miocardico non fatale nei prossimi 2 anni è di circa il 97% senza trattamento, ma si può aumentare a circa il 98% assumendo rosuvastatina ogni giorno. Comunque, la vita non sarà prolungata ed è aumentato il rischio di diabete, senza menzionare altri effetti avversi” (che descriveremo in parte nella sezione successiva).
Esempi di come gli effetti collaterali delle statine sono stati minimizzati
Un secondo problema degli studi che riguardano le statine sono le distorsioni sistematiche per minimizzare gli effetti avversi. Come abbiamo potuto apprezzare, l’effetto benefico delle statine riguarda una riduzione dell’1-2% di eventi coronarici. Questo dato, a livello di popolazione, renderebbe le statine degli ottimi farmaci, se questi non avessero eventi avversi. Ma gli effetti collaterali sono sostanziali e includono un’aumentata incidenza di cancro, cataratta, diabete, alterazioni cognitive e malattie muscolo-scheletriche. Mentre il beneficio delle statine è sempre riportato con la forma del rischio relativo, gli effetti collaterali sono sempre espressi con il rischio assoluto. Nel seguente esempio analizzeremo uno dei seri eventi correlati all’assunzione delle statine che sono stati minimizzati: il cancro. Consiglio ancora la lettura dell’articolo originale che trovate in bibliografia, in cui potrete apprezzare come è stata sistematicamente sminuita l’importanza di altri due effetti collaterali: la miopatia e soprattutto le alterazioni cognitive.
Cancro: vari studi sulle statine hanno riportato un aumento dell’incidenza di cancro. In 4 di questi studi l’incremento di incidenza era statisticamente significativo. Nello studio CARE, che includeva 4159 pazienti (576 donne e 3583 uomini) con infarto e livelli di colesterolo elevati, a metà dei pazienti è stata somministrata prasuvastatina e all’altra metà un placebo. Dopo 5 anni di trattamento, 24 pazienti sono morti per patologia cardiovascolare nel gruppo che assumeva il farmaco (1.15%) contro 38 (1.83%) tra i controlli che assumevano un placebo. La riduzione del rischio assoluto è dello 0.68%. L’effetto collaterale più serio è stato il tumore alla mammella, riscontrato in 12 donne (4.2%) nel gruppo che assumeva la prasuvastatina e in 1 donna (0.34%) nel gruppo che assumeva il placebo. Anche se la differenza di incidenza tra i due gruppi è statisticamente rilevante (p = 0.0002), gli autori hanno minimizzato l’aumento del rischio scrivendo nell’articolo: “Non c’è nessuna conosciuta potenziale base biologica… la totalità dell’evidenza suggerisce che questo riscontro nello studio CARE potrebbe essere un anomalia meglio interpretata nel contesto della bassa frequenza di eventi avversi dello studio e nel valutazione statistica di vari eventi avversi”. Ma una base biologica che correla le statine all’aumento del rischio di cancro esiste, dato che un’estesa ricerca indica che le lipoproteine partecipano attivamente al funzionamento del sistema immunitario e una riduzione dei livelli di colesterolo è associata a un’aumentata incidenza di cancro. Inoltre, studi di pazienti ammalati di cancro e controlli sani hanno mostrato che i pazienti ammalati di cancro usavano statine in modo significativamente maggiore rispetto ai soggetti di controllo.
Un altro studio in cui è stato riscontrato un aumento dell’incidenza di cancro è PROSPER. Si tratta di una ricerca che ha coinvolto 5084 tra uomini e donne con una storia di vasculopatia o un fattore di rischio per vasculopatie. A metà dei soggetti è stata somministrata prasuvastatina, all’altra metà un placebo. Dopo un follow-up di 3,2 anni, nell’abstract dell’articolo si leggeva che la mortalità da malattia cardiaca veniva ridotta del 24% dalle statine, ma analizzando meglio una delle tabelle, il 3,3% dei pazienti era morto nel gruppo delle statine contro il 4,2% nel gruppo di controllo, per una riduzione del rischio assoluto dello 0,9%. Il piccolo beneficio sulla mortalità cardiovascolare veniva però annullato da un sostanziale numero di pazienti che morivano per un cancro: nel gruppo della prasuvastatina c’erano 28 morti in meno per patologia cardiovascolare, ma 24 morti in più per cancro. Se includiamo nel calcolo casi di cancro che non avevano (ancora) portato alla morte i pazienti, il totale era di 245 pazienti nel gruppo che assumeva il farmaco e 199 nel gruppo che assumeva il placebo, una differenza statisticamente significativa (p = 0.02). Inoltre la differenza tra i due gruppi nei casi di tumore aumentava di anno in anno. Nonostante una differenza statisticamente significativa, la conclusione degli autori era che “la più probabile spiegazione nello sbilanciamento nell’incidenza di cancro nello studio PROSPER è la casualità, che potrebbe in parte derivare dal reclutamento di individui con una malattia occulta”. Per minimizzare ulteriormente questo riscontro gli autori hanno contato il numero di nuovi tumori in tutti i precedenti studi con la prasuvastatina e trovato che presi insieme non c’era un aumento significativo. Ma nel loro calcolo gli autori hanno omesso due fattori importanti: non hanno calcolato il numero di individui con tumori della pelle e non hanno detto che negli studi precedenti i partecipanti erano di 20-25 anni più giovani. PROSPER è uno studio particolarmente importante e unico dato che le statine sono usate nelle popolazione anziana. Il cancro è un riscontro frequente negli studi autoptici delle persone anziane la cui morte è attribuita a un’altra causa, questo perché il cancro è spesso latente e cresce così lentamente che spesso non diventa un problema nel corso della vita, a meno che la crescita non sia accelerata da fattori esterni. Se il trattamento con le statine o la riduzione del colesterolo può essere un fattore che causa il cancro, come mostrato in modelli animali, è probabile che il cancro dia prima i suoi segni nella popolazione anziana. Ci sono grandi differenze tra i periodi di incubazione di tipi differenti di cancro e quelli più facili da diagnosticare sono quelli che compaiono prima. Escludere i tumori della pelle introduce una distorsione importante. Nei primi due studi che riguardavano la simvastatina, 4S e Heart Protection Study, a più pazienti tra quelli trattati erano stati diagnosticati tumori della pelle. Questi dati sono inclusi nelle tabelle degli articoli e non compaiono nel testo, forse perché la differenza non era statisticamente significativa, ma se si combinano i dati dei due studi, l’associazione tra cancro e statine diventa significativa (256/12454 vs 208/12459; p < 0.028).
Un’altra ricerca sulle statine in cui il cancro compare più spesso nel gruppo dei pazienti che assumono il farmaco è SEAS. In questo studio sono stati inclusi 1873 pazienti con vari gradi di stenosi aortica e con un valore medio di colesterolo di 222 mg%. La metà sono stati trattati con simvastatina e ezetimide, l’altra metà con un placebo. Eccetto che per una riduzione degli eventi ischemici, non è stato identificato nessun beneficio nei 4,3 anni di trattamento. Comunque, il cancro si è verificato in 105 (11.1%) pazienti che assumevano il farmaco ma solo in 70 (7.5%) pazienti nel gruppo di controllo, un effetto statisticamente significativo (p<0.01). Gli autori hanno notato l’aumentata incidenza di cancro nei pazienti trattati, ma hanno scritto che “dato che la terapia a lungo termine con le statine non è stata associata ad un aumento del rischio di cancro, la differenza di incidenza di cancro osservata nello studio può essere il risultato del caso”.
La maggior parte degli studi sulle statine terminano dopo 2-5 anni, un periodo di tempo troppo corto per valutare lo sviluppo della maggior parte dei tumori. In questo contesto è da notare che uno studio caso-controllo a lungo termine su varie migliaia di donne ha mostrato che il numero di neoplasie mammarie raddoppiava tra chi assumeva statine per più di 10 anni (OR 2.00; 1.26-3.17). Se le statine siano carcinogene o meno è una questione aperta. In ogni caso è forte l’evidenza che la riduzione del colesterolo e l’uso di statine sono entrambi associati ad un aumento del rischio di cancro.
Conclusione
La ricerca sulle statine è caratterizzata da una strategia di presentazione dei dati in cui le statistiche di rischio relativo e rischio assoluto sono state volutamente utilizzate da un lato per amplificare l’apparenza del beneficio, dall’altro per minimizzare i seri eventi avversi, che sono stati ignorati o spiegati in modo che sembrassero verificarsi per caso. Anche se solo il 10% dei pazienti che assumono statine dovesse presentare un evento avverso, il risultato sarà che milioni di persone sane diventeranno pazienti e sperimenteranno effetti avversi senza beneficio.
I punti da ricordate
- Presentare i dati in termini di rischio relativo ha intenzionalmente fuorviato il pubblico così da esagerare il minuscolo beneficio delle statine.
- Gli studi sulla riduzione del colesterolo in prevenzione primaria non hanno dimostrato di ridurre la mortalità e allungare la vita.
- La riduzione della mortalità cardiovascolare negli studi di prevenzione secondaria è abbastanza bassa e raramente eccede il 2%.
- I seri effetti collaterali del trattamento con le statine sono estremamente sottostimati. Gli effetti avversi del trattamento con statine sono molti e riguardano: diabete, alterazioni cognitive, cataratta, cancro, alterazioni muscolo scheletriche.
- Il piccolo beneficio visto negli studi di riduzione del colesterolo è indipendente dal grado di riduzione del colesterolo.
- Gli approcci per ridurre la mortalità cardiovascolare dovrebbero enfatizzare altri interventi: la cessazione del fumo, evitare l’obesità, il consumo di cibi poco zuccherati e di grassi parzialmente idrogenati.
A cura di Luca Iaboli
1. Diamond DM, Ravnskov U. How statistical deception created the appearance that statins are safe and effective in primary and secondary prevention of cardiovascular disease. Expert Rev Clin Pharmacol 2015;8(2):201–10 http://www.drperlmutter.com/wp-content/uploads/2015/02/Statin-data-corruption.pdf