Le vere radici dell’epidemiologia

Uno studio medico è o non è etico sin dal principio,
non lo può diventare solo perché produce risultati importanti.[1]

Abitualmente ci si riferisce a John Snow come fondatore dell’epidemiologia e antesignano della sanità pubblica. Tutti conoscono la sua caparbia ricerca dell’origine del colera nella Londra del 1854, individuata dopo studi accurati e a sue spese in una pompa d’acqua infetta in Broad Street, nel quartiere di Soho, chiusa la quale la malattia smise di mietere vittime. Lo ricorda il direttore del Lancet, Richard Horton, avvertendo però che si tratta di un ‘mito confortevole’ in quanto il metodo epidemiologico ha avuto natali ben più terribili. [2]

Horton recensisce un recente libro, Maladies of Empire, [3] all’inizio del quale si narra la storia di Thomas Trotter, chirurgo di bordo in una nave mercantile usata per trasportare schiavi dall’Africa alla fine del secolo XVIII. Il compito di Trotter era tenere in vita più schiavi possibile per il mercato inglese. Egli descrisse il caso di un africano che rifiutava il cibo per le tremende condizioni cui era sottoposto con i suoi compagni durante il viaggio, e che aveva iniziato uno sciopero della fame opponendosi alla nutrizione forzata. Una settimana dopo era morto. Trotter rimase sorpreso da quanto a lungo un essere umano potesse sopravvivere senza cibo. Si mise allora a studiare il digiuno utilizzando quel povero materiale umano e divenendo un vero esperto in materia. Altri suoi colleghi, sempre chirurghi di bordo, si dedicarono alla soluzione di altri problemi, sempre finalizzati a tenere in vita il più alto numero possibile di schiavi, intuendo che affollamento, scarsità di cibo e acqua, promiscuità e scarsa ventilazione erano gli elementi critici. La burocrazia coloniale e militare forniva il supporto per la raccolta e verifica dei dati, arrivando a porre le basi per una nuova scienza, l’epidemiologia appunto. Il gran numero di uomini sottomessi a queste indagini permise ai medici di comprendere l’origine di molte malattie.

Oltre agli schiavi anche i poveri divennero oggetto di indagine e le conoscenze così acquisite servirono a rafforzare l’impero. Un’ulteriore opportunità di studio fu fornita dalle vittime ricoverate negli ospedali militari. Le guerre diedero alla medicina militare l’occasione di produrre nuove scoperte che, una volta epurate dal sangue che le aveva prodotte, arrivavano alle riviste scientifiche. La storia delle origini dell’epidemiologia, conclude il libro, è stata in gran parte dimenticata perché intrisa di sudore e sangue, guerre, e imperialismo. La schiavitù è impressa nel DNA dell’epidemiologia.

A questo punto Horton ci invita a una riflessione sulle origini di parte del sapere scientifico più recente, che pure è nato dalla sofferenza e dalla morte, prima di essere pubblicato in modo asettico. Lo fa però con citazioni troppo stringate per chi non ha conoscenza dei fatti. Di questi avevamo riportato alcune note circa dieci anni fa, nella nostra lettera periodica. [4] Tra i vari esempi di ricerca senza principi etici mi aveva in particolare colpito uno studio osservazionale sulla storia naturale della sifilide, svoltosi fra il 1932 e 1972, quando un gruppo di maschi africani era stato deliberatamente infettato con il treponema e osservato nel tempo. Il fatto che parte dello studio fosse poi proseguito in era post penicillina creò imbarazzo all’allora governo Nixon, che fermò la ricerca.

Altro episodio da ricordare è quello condotto in Africa su donne gravide infette da HIV, per testare l’efficacia della zidovudina sul feto. La ricerca fu condotta vs placebo inerte, nonostante uno studio precedente avesse già dimostrato l’efficacia del farmaco nel bloccare nel 50% dei casi la trasmissione perinatale. Così un terzo dei bimbi nacque infettato (soltanto l’8% nel gruppo trattato). Nel 1997, in Uganda, soggetti infetti da HIV e tubercolino positivi, furono lasciati senza profilassi con isoniazide, nonostante fosse raccomandato dalle linee guida, che per convenzione dovrebbero essere le stesse del paese dove risiede lo sponsor (USA in questo caso). Molti RCT condotti in paesi a basso reddito non sono registrati, e ricordo le difficoltà sempre poste da FDA nell’accettare, per studi condotti fuori dagli USA, i principi della dichiarazione di Helsinki nella quale si stabilisce che il placebo deve essere il miglior trattamento di provata efficacia.

A cura di Giovanni Peronato

1. Guiding principles for human studies. Boston Massachussets General Hospital, 1981

2. Horton R. Offline: A lie at the heart of public health. Lancet 2022;399:704

3. Downs J.Maladies of Empire: How Colonialism, Slavery, and War Transformed Medicine. Harvard University Press. London 2021

4. http://www.nograzie.eu/wp-content/documents/Etica%20e%20ricerca%20medica%20nell’era%20globalizzata_Peronato.pdf

LEGGI TUTTA LA LETTERA 102