Non se ne parla più: medici e industria

Che le industrie farmaceutiche, di presidi e di apparecchiature sanitarie investano molte risorse economiche per informare/sollecitare/convincere i medici a prescrivere i propri prodotti, è noto da tempo e ripetutamente documentato. Talmente scontato da non suscitare più neanche un moto di indignazione, come succede con i fenomeni naturali che ci disturbano, ma non possiamo evitare. Di conseguenza, non se ne parla più. Almeno qui in Italia, dove siamo stati vaccinati da terremoti corruttivi in grande scala. Sapere però quanto il fenomeno coinvolga la classe medica e quanto sia in grado di influenzarne le scelte che ricadono sulla spesa sanitaria del Sistema sanitario nazionale e sulla salute dei pazienti, non è irrilevante.

Il 7 gennaio scorso il New York Times pubblica un articolo sui costi della promozione dei farmaci negli Stati Uniti. Dal 2014 il Governo federale ha obbligato le industrie legate al mondo della sanità a rendere pubblici i pagamenti versati ai medici e agli ospedali (Freedom of Information Act). In attesa dei dati ufficiali, nell’articolo vengono riportati, come una sorta di aperitivo, i dati forniti da 17 industrie, che nel 2013 hanno reso pubblici i loro finanziamenti. Si tratta di 4 miliardi di dollari che corrispondono a circa il 50% del mercato.

Accedendo al sito di ProPublica – Journalism for the Public Interest si trovano i finanziamenti rivolti ai medici a scopo promozionale, che possono essere ricavati per industria, per prodotto, per medico. Niente male poter leggere quanto ha ricevuto da una certa industria lo specialista che mi ha consigliato un prodotto, il relatore che ha trascurato di illustrare gli effetti indesiderati di un farmaco o l’editorialista che non sembra imparziale. Per esempio, potremmo mettere in dubbio l’oggettività dei giudizi di un certo dottor Robert Takla che lavora nell’area di Detroit e che in 5 mesi ha ricevuto 75.000 dollari dall’industria che produce un nuovo anticoagulante, il Brilique.

Noi italiani ci dobbiamo accontentare di farci un’idea di come vengono finanziati i medici oltre Atlantico, ma possiamo comunque ottenere informazioni interessanti sulle caratteristiche dei prodotti più “spinti”. Scorrendo la lista, osserviamo che non vengono investite somme di denaro su farmaci veramente innovativi in aree prive di trattamenti specifici, ma prevalentemente su farmaci che sono sostanzialmente copia di altri in commercio, “farmaci ridondanti” come li definisce il dottor Joseph Ross, associate professor alla Yale University.

Infatti, a quali categorie appartengono i primi 10? Tre sono antidiabetici, 3 anticoagulanti orali, 2 per il trattamento della broncopneumopatia cronico-ostruttiva, 1 per il trattamento della schizofrenia e 1 dell’artrite, patologie per le quali sono già in commercio numerosi farmaci efficaci. Non risultato invece nel top della lista farmaci per il trattamento dell’epatite C o che prolungano in modo significativo la vita: questi farmaci si “vendono da soli” e non c’è bisogno di pagare medici per spiegarne l’utilità ai colleghi.

Quali sono i 5 farmaci su cui sono state investite le cifre più elevate in propaganda ai medici? Il Victoza (liraglutide) un antagonista del recettore GLP-1, l’Eliquis (apixaban) un anticoagulante che dovrebbe sostituire il warfarin, il Brilique (ticagrelor) che dovrebbe sostituire il clopidogrel, farmaco che ha perso la copertura brevettuale, e due farmaci non ancora in commercio in Italia: un antidiabetico (canagliflozin) e un antipsicotico (larusidone). Per ciascuno dei 5 farmaci sono stati investiti negli ultimi 5 mesi del 2013 dai 9 ai 7 milioni di dollari, che sono quasi la metà di quanto è stato speso dalla Intuitive per finanziare i medici che devono divulgare le meraviglie del robot Da Vinci.

Dobbiamo chiedere che anche in Italia si approvi un’analoga legge sulla trasparenza dei finanziamenti ai medici, in modo che anche da noi si possa conoscere quanto è finanziata la promozione di ogni prodotto e chi sono i medici maggiormente sponsorizzati. La maggior parte dei medici non è disposta sopportare una progressiva riduzione della fiducia dei pazienti dovuta alla segretezza con cui vengono distribuiti gli emolumenti da parte delle industrie che ruotano nel mondo della Sanità.

Marco Bobbio, già Direttore della Cardiologia dell’Ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo, ora membro del Direttivo Slow Medicine. Pubblicato su Va’ Pensiero n° 644 del 21 gennaio 2015 (http://www.pensiero.it/attualita/articolo.asp?ID_sezione=37&ID_articolo=1261)