Vaccino, bene comune – Per il Comitato Nazionale di Bioetica (CNB) i vaccini anti Covid rappresentano un bene comune, tale da richiedere la diffusione mondiale senza barriere fra paesi ricchi e paesi poveri. Nel novembre del 2020, il CNB, considerando l’ordine da seguire nella vaccinazione della popolazione, aveva richiamato il principio integrativo dell’equità, ossia la considerazione della vulnerabilità per specifici bisogni, per individuare chi andasse vaccinato fra i primi, come il personale sanitario (1).
Obbligatorietà di un trattamento sanitario
Il CNB richiama l’esistenza nel nostro ordinamento nazionale di trattamenti obbligatori legittimi (si pensi al trattamento sanitario obbligatorio, TSO, per antonomasia, in ambito psichiatrico), eticamente accettabili in condizioni ben definite, non esitando nello scorso novembre a considerare ammissibile l’obbligatorietà per il vaccino anti Covid, per quanto non desiderabile, una specie di estrema ratio da chiamare in causa per situazioni gravi.
Se si può concordare sull’attribuire priorità nella vaccinazione al personale sanitario, che tipo d’intervento è eticamente giustificato per favorirla? È questo il tema discusso in un articolo comparso su BMJ Global Health dal titolo significativo, “No Jab, No Job? Ethical Issues in Mandatory COVID-19 Vaccination of Healthcare Personnel”, che considera le possibili argomentazioni a favore o contro la limitazione dell’autonomia personale che la disposizione sanitaria obbligatoria comporterebbe (2).
Lo specifico del personale sanitario
L’articolo enumera l’esposizione a un rischio maggiore, l’utilità sociale e la necessità di non diffondere il contagio quali criteri generali per stabilire la priorità, ampiamente condivisibili, ma rileva che la proposta di vaccinazione anti Covid dei sanitari all’inizio della campagna ha incontrato alcune incertezze e resistenze. Le incertezze riguardano la sicurezza e l’efficacia del vaccino, sia rispetto alla protezione individuale che al rischio di trasmissione, e la percezione di rischio limitato di contagio fra i sanitari non a diretto contatto con pazienti Covid. Resistenza e allarme sono sorti per le più varie ragioni di esitazione o rifiuto vaccinale di pari passo col timore dell’obbligo alla vaccinazione per ragioni professionali. In questi casi, invece che come un’opportunità, la vaccinazione è stata avvertita come un’imposizione latente, col timore in prospettiva che il mantenimento del posto di lavoro nella sanità pubblica potesse essere condizionato dall’adempimento del “dovere” di farsi vaccinare.
L’articolo specifica che
A. il criterio di non diffondere il contagio non può essere attualmente invocato se non in via teorica in quanto non vi sono ancora prove in tal senso per i vaccini anti Covid;
B. se il vaccino protegge più dalla malattia grave che dalla sua trasmissione, bisogna ammettere che altre fasce della popolazione potrebbero avere pari o maggior diritto a essere vaccinate per prime, rispetto ai sanitari.
Primum non nocere
Teoricamente, il personale sanitario contribuirebbe con la propria vaccinazione a proteggere i soggetti fragili con cui si trova a contatto, rispondendo all’imperativo basilare di non danneggiare coloro di cui si prende cura. Inoltre, notano gli Autori, i contesti sanitari hanno costituito importanti focolai per Covid-19 favorendone la super-diffusione. Per contro, si è assistito all’incapacità dei servizi sanitari di proteggere chi ci lavora, per esempio a causa dell’iniziale penuria dei dispositivi di protezione, dell’affollamento degli spazi di ritrovo nelle strutture sanitarie oppure per assenza di adeguata ventilazione negli spazi comuni. Questo indebolisce il rapporto di fiducia fra gli operatori sanitari e l’istituzione per cui lavorano, rendendoli meno disponibili nei confronti della vaccinazione che l’istituzione stessa propone.
L’utilità sociale
Questa forma di utilitarismo rivolto al lavoro degli operatori sanitari rende apprezzabile la loro opera favorendo che restino al lavoro in buona forma. Per contro, secondo l’articolo, interventi sulla popolazione volti a ridurre il rischio di ammalare anche per i sanitari non sono stati adeguatamente favoriti e la stessa importanza della vaccinazione generale della popolazione per proteggere anche i sanitari non è adeguatamente considerata. La vaccinazione può, infine, rappresentare una ragione per essere destinati a condizioni di lavoro più pericolose nonostante il margine d’incertezza sulla protezione effettivamente ottenuta.
Conclusione degli Autori
Serve una forma di difficile conciliazione che tenga conto dell’autonomia e dell’esperienza sul campo degli operatori sanitari, prendendo sul serio le loro riserve e favorendo la loro fiducia nelle istituzioni e negli interventi che possono proteggere il lavoro dei sanitari e le loro persone.
Commento
La conciliazione nel senso indicato dagli Autori non è facilmente praticabile. Una maggiore conoscenza delle potenzialità dei vaccini potrà consentire un adeguato compromesso fra autonomia personale e interesse collettivo: a strumenti adeguati alla prevenzione della diffusione dell’infezione potrebbe corrispondere una limitazione dell’autonomia personale in nome dell’interesse collettivo.
Mariolina Congedo
1) http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato2541245.pdf