Alcuni anni fa, assieme ad alcuni studenti del SISM (Segretariato Italiano Studenti Medicina), abbiamo sviluppato un progetto con l’obiettivo di analizzare le politiche sui conflitti di interessi (CdI) delle facoltà di scienze mediche italiane e dei relativi ospedali di insegnamento. Siamo riusciti a raccogliere tutta la documentazione necessaria e ad assegnare a ogni università un primo punteggio, da ridiscutere assieme prima di attribuirlo in via definitiva. A questo punto il progetto di ricerca si è arenato ed è finito nel dimenticatoio, per ragioni mai chiarite.
Peccato, perché nel frattempo, in altri paesi, gruppi equivalenti al SISM e a NoGrazie avevano già concluso o stavano per concludere progetti simili, con l’obiettivo di fare pressione sulle università perché sviluppassero rigorose politiche sui CdI o rafforzassero quelle esistenti. Una revisione sistematica, prima autrice la nostra Alice Fabbri, ha analizzato 22 studi sull’argomento, tutti in paesi ad alto reddito (17 dal Nord America, i restanti da Europa e Australia), pubblicati tra il 2000 e il 2020. In 20 di questi studi si riporta la prevalenza di politiche sui CdI: dal 5% al 100%, con una mediana di 85%. Il punteggio riguardante la robustezza di queste politiche, calcolato con diversi strumenti, varia tra 2% e 73% (mediana 30%). Un punteggio basso indica una politica debole. Le politiche delle università e degli ospedali di insegnamento del Nord America sembrano in generale più robuste di quelle delle corrispondenti istituzioni Europee. Nessuno degli studi inseriti nella revisione sistematica mostra un’associazione tra le politiche sui CdI e la produzione scientifica o la qualità della didattica. La conclusione degli autori è che esiste una grande variabilità tra scuole di scienze mediche per quanto riguarda le politiche sui CdI, e che il contenuto di queste politiche è molto variabile e ancora non in grado, nella maggioranza dei casi, di prevenire e controllare i CdI. Per tornare al nostro progetto interrotto, l’analisi della documentazione relativa a circa 40 facoltà di scienze mediche, e relativi ospedali di insegnamento, e i punteggi preliminari, ricavati con uno strumento simile a quello usato in Canada, sembra indirizzare i risultati verso quelli peggiori riportati dalla revisione sistematica: bassa prevalenza di politiche sui CdI e apparente debolezza delle stesse. Bisognerebbe concludere il progetto e pubblicare i risultati, ma, soprattutto, bisognerebbe fare pressione affinché tutte le scuole di scienze mediche e relativi ospedali di insegnamento adottassero e attuassero politiche rigorose per la prevenzione e il controllo dei CdI.