Il Lancet ha appena pubblicato uno studio statunitense che mirava a valutare la durata dell’efficacia protettiva del vaccino anti Covid19 della Pfizer contro l’infezione e il ricovero ospedaliero, prendendo in considerazione anche l’effetto sulla variante Delta.(1) In primo luogo bisogna dire che lo studio è carico di conflitti di interessi (CdI). Sette dei 15 autori sono dipendenti di Pfizer, che ha anche finanziato l’intero studio e che trasparentemente ammette di averne approvato il disegno e di aver partecipato all’interpretazione dei risultati e alla stesura dell’articolo. Anche tutti gli altri autori dichiarano relazioni finanziarie con Pfizer (e con molte altre ditte di farmaci e vaccini).
Come sappiamo, la trasparenza non elimina gli effetti avversi dei CdI. In secondo luogo, non si tratta di un trial randomizzato, ma di uno studio di coorte retrospettivo. Trattandosi di uno studio osservazionale, non è semplice stabilire una relazione di causa/effetto tra intervento (la vaccinazione) ed esiti; vi potrebbero essere anche dei bias relativi al contesto in cui lo studio si è svolto (vedi prossimo paragrafo).
Tra gli aspetti positivi vi è la numerosità del campione: 3.436.957 individui, ben bilanciati per sesso e distribuiti tra tutte le età (dai 12 anni in su, 45 anni l’età mediana, 19% gli over 65), tra cui 1.146.768 hanno ricevuto almeno una dose di vaccino, e di questi il 91% ha ricevuto due dosi. Il 2,2% dei partecipanti aveva avuto un test positivo per SarsCov2 nei 12 mesi precedenti l’inizio dello studio. Altro aspetto positivo è il fatto che lo studio è stato condotto, tra dicembre 2020 e agosto 2021, in condizioni di vita reali, tra gli iscritti a una delle organizzazioni sanitarie più importanti degli USA, la Kaiser Permanente della California del Sud. Iscritti che comprendono persone di tutte le razze (negli USA, purtroppo, si categorizzano i cittadini più in termini di razza – un costrutto sociale – che di condizioni socioeconomiche), di ogni indice di massa corporea, e con una variegata presenza di co-morbidità. Trattandosi di un’organizzazione sanitaria, è possibile che gli operatori abbiano gestito in maniera sistematicamente diversa i vaccinati rispetto ai non vaccinati, per esempio in termini di test diagnostici e di invio all’ospedale; questa potrebbe essere una causa di bias.
Gli esiti presi in considerazione erano l’infezione da SarsCov2 (test PCR positivo) e il ricovero ospedaliero per Covid19 fino a sei mesi dopo la vaccinazione. Tra tutti i partecipanti, 184.041 (5,4%) hanno avuto un test positivo; tra questi, 12.130 (6,6%) sono stati ricoverati in ospedale. I ricoverati, come ci aspetteremmo, erano più vecchi e con qualche co-morbidità in più. Tra gli individui vaccinati con due dosi, l’efficacia protettiva media nei confronti dell’infezione è stata del 73%, ma era dell’88% dopo un mese e del 47% dopo cinque mesi; era anche maggiore tra i giovani di 12-15 anni (91%) e minore tra gli over 65 (61%). Tra questi ultimi, era 80% dopo un mese dalla seconda dose e 43% dopo cinque mesi. Per i ricoveri, l’efficacia protettiva media è stata del 90%, 92% tra 15 e 44 anni, 86% tra gli over 65. Per tutte le età, dopo un mese dalla seconda dose era 87%, dopo cinque mesi 88%, si era cioè mantenuta allo stesso livello. L’articolo mostra gli intervalli di confidenza al 95% di tutte queste stime dell’efficacia protettiva; dato il grande campione, questi intervalli sono molto stretti, le stime cioè sono molto precise.
Il 28,4% dei positivi era affetto da variante Delta, solo 0,6% fino ad aprile 2021, 85,5% a luglio. Per questa variante, l’efficacia protettiva contro l’infezione è stata del 75% (IC95%: 71%-78%), contro il 91% (88%-92%) per tutte le altre varianti assieme. Anche per la variante Delta, la protezione contro l’infezione tende a diminuire nel tempo: 93% (85%-97%) a un mese, 53% (39%-65%) dopo quattro mesi. Contro il ricovero ospedaliero da variante Delta, l’efficacia protettiva era del 93% (84%-96%).
Gli autori concludono che l’efficacia protettiva del vaccino, sia contro l’infezione sia contro i ricoveri, è molto simile a quella attesa, ma quella contro l’infezione tende a diminuire nel tempo. Questa diminuzione non sembra essere legata all’emersione della variante Delta, ma piuttosto a una diminuzione dell’immunità conferita dal vaccino. Questi risultati sono coerenti con quelli provenienti da Israele e aprono alla prospettiva di procedere con dosi di richiamo.
A cura di Adriano Cattaneo
1. Tartof SY, Slezak JM, Fischer H et al. Effectiveness of mRNA BNT162b2 COVID-19 vaccine up to 6 months in a large integrated health system in the USA: a retrospective cohort study. Lancet 2021;398:1407-16