Ripensare i conflitti di interessi nella relazione medico-paziente

Prendendo lo spunto da un episodio, una causa legale in corso negli USA, gli autori di un punto di vista recentemente pubblicato sul NEJM discutono del presente e del futuro delle dichiarazioni di CdI per trasferimenti finanziari, di qualsiasi tipo, tra industria della salute e medici.[1] La causa legale riguarda l’accusa a una ditta di dispositivi medici di aver pagato a quasi tre dozzine di chirurghi della colonna vertebrale un totale di più di 8 milioni di dollari in finte consulenze.

Il compenso, versato apparentemente per la valutazione di alcuni dispositivi, serviva presumibilmente a mascherare pagamenti per l’uso degli stessi. Secondo l’accusa, i chirurghi hanno ricevuto 500 dollari per un intervento cervicale e 1000 per uno lombare. Gli interventi erano già stati rimborsati dalle assicurazioni. L’accusa proviene da un whistleblower (talpa, gola profonda) in base a una legge USA che non solo protegge questi informatori, ma addirittura li compensa con parte del ricavato, se l’accusa è provata. I pagamenti in oggetto, perseguibili secondo la legislazione USA contro la corruzione, creerebbero in ogni caso dei CdI, anche se la corruzione non fosse dimostrata.

Questo caso, se provato, sarebbe solo la punta dell’iceberg nel mondo dei dispositivi medici. I produttori di impianti spinali e ginocchia artificiali hanno pagato più di 3,1 miliardi di dollari tra agosto 2013 e dicembre 2019 a molti chirurghi. Secondo un’analisi di Kaiser Health News, questi chirurghi erano il 25% di tutti i medici statunitensi che hanno accettato almeno 100.000 dollari da produttori di dispositivi e farmaci nel 2020, e il 66% di coloro che hanno accettato almeno un milione. Non tutti questi pagamenti sono impropri o illegali, ma il loro volume dimostra che tangenti illegali, frodi e potenziali danni per i pazienti, correlati a un giudizio medico alterato, all’uso di materiali scadenti o a prestazioni non necessarie, sono un problema serio, che richiede interventi correttivi.

Il correttivo usato finora è il Sunshine Act, che mira a usare la trasparenza per scoraggiare i pagamenti impropri da parte delle ditte e per incoraggiare i medici a prendere decisioni non influenzate da compensi da parte delle ditte stesse. Dalla sua messa in atto, quasi un decennio fa, il Sunshine Act ha migliorato la qualità dei dati che raccoglie e, più recentemente, la compliance con la legge, sanzionando le ditte che non comunicano i dati concernenti i pagamenti. Ma non sono state pubblicate finora prove che i pagamenti stiano diminuendo. Inoltre, Il Sunshine Act ripone l’onere di informare sui produttori, non sui medici, che possono solo verificare che le informazioni del database siano corrette, per eventualmente modificarle. E anche qualora siano formulate e provate accuse di corruzione, le sanzioni si applicano alle ditte, che però tendono a considerare le multe come un costo più che come un deterrente, non ai medici. In conclusione, il Sunshine Act è stato molto utile finora per ricercatori e giornalisti, che hanno pubblicato analisi e sollevato problemi, ma non ha finora raggiunto i risultati per i quali era stato creato, anche perché la maggior parte dei pazienti non ne conosce l’esistenza.

Gli autori dell’articolo del NEJM credono che sia giunto il momento di considerare se non si debba chiedere ai medici di dichiarare i loro rapporti finanziari con le ditte direttamente ai pazienti. In California, dal 2018, è in vigore una legge che obbliga i medici a dire ai loro pazienti se sono stati sospesi dal loro Ordine e perché. Il razionale alla base di questa legge è che, sebbene le informazioni sulle azioni disciplinari degli Ordini (come quelle sui pagamenti del Sunshine Act) siano disponibili al pubblico, solo un’auto-segnalazione dai medici ai loro pazienti garantisce che le stesse arrivino a destinazione. Una legge simile, che obbliga i medici a svelare i pagamenti da produttori di farmaci e dispositivi medici ai loro pazienti, è stata proposta in California nel 2021 in risposta alla denuncia di una paziente ignara del fatto che il suo chirurgo avesse ricevuto quasi 500.000 dollari in 4 anni dai produttori di un dispositivo usato su di lei senza successo per una chirurgia di ricostruzione del seno. In seguito a una forte opposizione da parte dell’Associazione Medica della California (AMC), il progetto di legge è stato indebolito fino a chiedere ai medici solo di informare i pazienti sull’esistenza di pagamenti inseriti nel Sunshine Act. L’AMC ha sostenuto che gli obblighi di informazione della proposta iniziale sarebbero stati troppo onerosi e avrebbero danneggiato il rapporto medico-paziente. Per i fautori della proposta iniziale, invece, questi oneri facevano intenzionalmente parte del disegno di legge: una spinta gentile per scoraggiare i medici dall’accettare determinati pagamenti, visto che ci sono delle prove a sostegno del fatto che la dichiarazione obbligatoria porti i medici a evitare di entrare in relazioni che creano un CdI da dover segnalare.

Oltre alle obiezioni dell’AMC, ci sono domande legittime su come i pazienti potrebbero interpretare le informazioni sui pagamenti dei loro medici. Questi pagamenti non sono automaticamente sospetti e potrebbero essere degli indicatori delle competenze del medico. E a volte è nell’interesse dei pazienti che le ditte paghino esperti per progettare e migliorare i prodotti, compensandoli in modo equo e al valore di mercato. Probabilmente è più facile per i pazienti capire il significato di un’azione disciplinare per cattiva condotta sessuale, per esempio, che decidere se considerare una consulenza come prova che un medico è un leader nel suo campo o come prova che si tratta di una bustarella. Sebbene entrambi gli scenari creino potenziali CdI, il secondo è di gran lunga più preoccupante. Tuttavia, si potrebbero sollevare le stesse domande sulle informazioni del Sunshine Act, e l’auto-dichiarazione consentirebbe ai medici di fornire una giustificazione per qualsiasi pagamento.

Vale anche la pena considerare altre modalità di divulgazione ai pazienti. Alcuni studi hanno suggerito che i pazienti informati dal loro medico circa un CdI si fidano meno, ma sono più inclini a seguirne i consigli per non fargli pensare di essere visto come un corrotto. Le divulgazioni potrebbero invece essere fatte dagli ordini dei medici o altre agenzie governative, ma queste alternative potrebbero essere costose e potrebbe essere difficile fornire informazioni ai pazienti in modo tempestivo. La dichiarazione di CdI diretta da parte del medico potrebbe evitare un difetto del sistema attuale: la dipendenza irrealistica dai pazienti per rintracciare informazioni sui CdI dei loro medici.

Casi di impropri rapporti finanziari tra ditte e medici non solo danneggiano i pazienti coinvolti, ma minano i rapporti di fiducia tra tutti i pazienti e i loro medici. Forse è il momento di riconoscere che la luce del Sunshine Act non sta raggiungendo i pazienti e di valutare se i costi e i potenziali rischi associati all’informazione diretta dei pazienti sui CdI siano superati dai danni al sistema sanitario, e ai pazienti stessi, causati tenendoli all’oscuro.

A cura di Adriano Cattaneo

1. Adashi EY et al Transparency and the doctor-patient relationship: rethinking conflict-of-interest disclosures. NEJM 2022;386:300-1

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