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Tumori: meglio prevenire che curare, ma Big Pharma non è d’accordo

Non sembra che la prevenzione dei tumori sia in testa all’agenda di Big Pharma. Dando un’occhiata agli studi in corso registrati presso la FDA si può osservare come la maggior parte degli investimenti si concentri su farmaci per chi ha già un tumore e per di più in fase avanzata; si fa ricerca cioè su prodotti che possono allungare la vita di alcuni mesi a persone già segnate dal cancro. Perché?

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Probiotici: prenderli in gravidanza dimezza il rischio di allergia nel neonato?

In Italia ne viene colpito un bambino su quattro in età prescolare. Eczema, rinite, asma e intolleranza alimentare sono le forme prevenibili coi “batteri buoni” secondo le linee guida internazionali della World Allergy Organization. Le nuove strategie di prevenzione sono al centro dell’incontro promosso oggi a Roma dalle società scientifiche di ginecologia, neonatologia e pediatria.

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Interessi economici-finanziari e ricerca in ambiente e salute

Queste che seguono sono le considerazioni finali dell’articolo di tre ricercatori italiani che vale la pena di leggere nella sua versione integrale: Mangia C, Cervino M, Gianicolo EAL: Interessi economici-finanziari e ricerca in ambiente e salute: che genere di intreccio? Riflessioni sistemiche n. 13, Dicembre 2015  http://www.aiems.eu/files/13_numero_-_mangia.pdf

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Pagare gli autori di un articolo per farsi citare

Ben Goldacre è una vecchia conoscenza dei NoGrazie; è l’autore di Bad Science (La cattiva
scienza, Bruno Mondadori, 2009) e di Bad Pharma (Effetti collaterali, Mondadori, 2013), e
l’iniziatore della campagna AllTrials (http://www.alltrials.net/). Il 14 agosto 2015 ha commentato sul suo blog la notizia di un modo innovativo per creare conflitti d’interesse: pagare gli autori di un articolo per farsi citare in articoli scientifici.(1)
La ditta USA Cyagen, che produce topi transgenici, cellule staminali, terreni di coltura per cellule ed altri prodotti (http://www.cyagen.com/us/en/) invia a un gran numero di ricercatori, senza che gli stessi l’abbiano chiesto, un messaggio email nel quale offre un compenso di 100 dollari, moltiplicati per l’impact factor della rivista, se questi la citano nei loro articoli. Se la rivista è il New England Journal of Medicine, che ha un impact factor di 56, i dollari diventano 5600; povero il ricercatore che pubblica sul BMJ, riceverebbe solo 1700 dollari. E non riguarda solo i ricercatori che hanno ricevuto l’email; dal sito della ditta sembra di capire che il misfatto andasse avanti da tempo. Erano infatti 164 gli articoli che avevano già beneficiato di questo favore. Il tutto senza che questo evidente conflitto d’interesse fosse dichiarato dai beneficiari del compenso, cioè dagli autori degli
articoli. Questo tipo di conflitto d’interessi non rientra infatti nella lista dei conflitti d’interesse che le maggiori riviste scientifiche esigono siano dichiarati.
In realtà, i beneficiari non ricevevano un assegno, ma vouchers dello stesso valore per acquisire prodotti Cyagen. Ma, secondo Goldacre, si tratta pur sempre di un finanziamento e di un conflitto d’interessi, e andrebbe perciò dichiarato, come qualsiasi altri finanziamento ricevuto per realizzare una ricerca. Goldacre aggiunge anche che non intende accusare i ricercatori; potrebbero aver citato la ditta perché andava citata e potrebbero aver rifiutato il compenso in vouchers. Quello che è
chiaro è che la Cyagen era ben consapevole dei conflitti d’interesse che stava creando e che almeno una parte dei ricercatori contattati aveva accettato il compenso. Se no, perché mai la ditta avrebbe rilanciato spedendo l’email ad altri ricercatori?
Spetterebbe ora alle riviste scientifiche aggiornare i loro criteri per la dichiarazione di conflitto d’interessi, aggiungendo questa nuova modalità.13

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L’importanza per la salute pubblica di dichiarare i finanziamenti

Anche Catherine De Angelis è una vecchia conoscenza dei NoGrazie. È stata per molti anni editor in chief del JAMA ed ha contribuito, con i colleghi di altre importanti riviste, ad introdurre l’obbligatorietà per gli autori degli articoli di dichiarare i conflitti d’interesse. Si è dimessa dal JAMA nel 2011, è tornata alle sue attività accademiche (professore di pediatria a Baltimora), e si è dedicata, almeno in parte, a questioni di etica professionale.

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Public Health Literacy

Michele Grandolfo, un NoGrazie, ha recentemente pubblicato su Evidence un articolo sulla Public Health Literacy (PHL). L’articolo, che può essere scaricato gratuitamente da questo indirizzo web http://www.evidence.it/articoli/pdf/e1000121.pdf, parla della PHL, intesa come “il livello di competenza delle persone e delle comunità nell’ottenere, gestire, comprendere, valutare le informazioni e trarne conseguenze per l’azione necessaria ad assicurare beneficio alla comunità con decisioni di sanità pubblica”.

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Multa milionaria negli USA: il caso pioglitazone

 

Il pioglitazone è un farmaco antidiabetico commercializzato dal 2000 con il marchio Actos dalle ditte Takeda ed Eli Lilly. Nella fase di sviluppo del farmaco, studi su animali avevano mostrato un’aumentata incidenza di tumori della vescica in ratti esposti al pioglitazone, ma solo nel giugno 2011 la FDA e l’EMA conclusero che vi era un leggero aumento del rischio di cancro alla vescica associato con l’uso di pioglitazone nell’uomo e hanno raccomandato l’applicazione di misure di sicurezza come la restrizione dell’uso del farmaco e il monitoraggio dei pazienti.

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Meta-analisi sugli antidepressivi influenzate dalle aziende farmaceutiche

Dopo molte dispute legali e un pronunciamento nel 2012 del Dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti d’America, nel mese di settembre 2015 una recensione indipendente pubblicata sul Journal of Clinical Epidemiology ha dimostrato che la paroxetina, farmaco usato nella terapia della depressione, non è sicura per gli adolescenti.(1) Questo risultato contraddice le conclusioni degli studi effettuati nel 2001, finanziati da GlaxoSmithKline – azienda produttrice del farmaco – i quali invece avevano attestato che l’impiego della paroxetina negli adolescenti era da considerarsi sicuro.

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AMA contro la pubblicità diretta dei farmaci

L’Associazione dei medici americani (AMA) chiede che si sospenda la pubblicità diretta ai consumatori per i farmaci e per i dispositivi medici che richiedono la prescrizione. La richiesta nasce dalla constatazione che la mole crescente di messaggi pubblicitari spinge i pazienti a esigere terapie sempre più costose, pur in presenza di alternative clinicamente efficaci e più economiche.

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Da commensali a consulenti: la diseducazione continua…

 

 

Uno dei cambiamenti più rilevanti – ma anche più silenziosi – degli ultimi anni nella sanità non soltanto italiana riguarda le attività del marketing farmaceutico. L’uso sempre più attento dei dati raccolti nel monitoraggio del cosiddetto “ritorno degli investimenti” ha dimostrato ai manager industriali che i soldi spesi per la promozione più tradizionale servono a poco. In poche parole, acquistare pagine pubblicitarie sulle riviste scientifiche o regalare libri utili non cambiano le prescrizioni dei medici: probabilmente perché la lettura non è più un’abitudine dei professionisti (non solo dei medici) o lo è in misura inferiore di un tempo.

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Finanziamenti USA della Coca Cola

Ricordate la serie di articoli del BMJ che denunciavano i legami tra Big Sugar e istituzioni accademiche inglesi, con i relativi conflitti d’interesse tra ricercatori e industria? Ne abbiamo scritto nella Lettera n. 33 del mese di maggio 2015. Tra quei Big Sugar non poteva mancare la Coca Cola. E poteva questa non agire allo stesso modo anche in patria, cioè negli USA? Ovviamente no.

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La statistica ingannevole delle statine

Le statine sono una classe di farmaci ampiamente usata efficaci nel ridurre i livelli plasmatici di colesterolo. Ma quanto sono efficaci e sicure nel ridurre il rischio cardiovascolare? Sicuramente meno di quanto si creda. Un articolo recentemente pubblicato ci mostra come la ricerca sulle statine è caratterizzata da una strategia di presentazione dei dati in cui le statistiche di rischio relativo e rischio assoluto sono state volutamente utilizzate da un lato per amplificare l’apparenza del beneficio, dall’altro per minimizzare i seri eventi avversi.(1) Analizzando i dati degli studi in modo trasparente è chiaro come per un beneficio molto limitato, si vada incontro a frequenti effetti collaterali. Vista la diffusione di questa categoria di farmaci, il risultato sarà che milioni di persone sane diventeranno pazienti e sperimenteranno effetti avversi senza beneficio.

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La tombola del conflitto d’interessi

Nel numero di Natale, il BMJ, come consuetudine, pubblica articoli paradossali, paludati però di finta scientificità. Da leggere, ad esempio, “Zombie infections: epidemiology, treatment, and prevention”, in cui si descrive l’azione del virus Solanum (nome scientifico della patata!), che ha il 100% di mortalità. Divertente è pure l’articoletto tradotto qui sotto, dove viene presentata una tabella che elenca le varie giustificazioni avanzate dalla parte più permissiva del nostro io in caso di conflitto d’interessi (http://www.bmj.com/content/351/bmj.h6577). Buona lettura,

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Conflitti di interesse tra industria e mondo accademico: cosa bolle in pentola

I tre articoli del NEJM

 

Lisa Rosenbaum, medico e corrispondente del New England Journal of Medicine, supportata dall’editor in chief della rivista, Jeffrey Drazen, ha proposto tre articoli sul conflitto di interesse nella professione medica e nelle riviste scientifiche.(1-3) Nel primo di questi articoli, la Rosenbaum considera come necessario un nuovo inquadramento del rapporto medico-industria e prende come primo esempio le linee guida 2013 ACC/AHA (American College of Cardiology/American Heart Association) sulla colesterolemia per la prevenzione del rischio cardiovascolare firmate da 15 autori di cui 7 con legami con l’industria. A suo giudizio, molte contestazioni verso le indicazioni contenute nelle linee guida sono fittizie: gli autori con conflitto di interesse non potevano votare la qualità dell’evidenza e gli autori liberi da conflitti di interesse potevano stringere rapporti con le industrie solamente dopo la pubblicazione del documento. Inoltre, erano presenti statine generiche, le linee guida indicavano ampi margini di discussione sulle scelte terapeutiche e vi era la garanzia di controllo di un agenzia indipendente, the National Heart, Lung, and Blood Institute. Tra gli altri aneddoti riportati, la vicenda del Vioxx, dove un’errata conclusione dei ricercatori, il non riconoscimento di un grave effetto collaterale, l’infarto del miocardio, avrebbe portato l’azienda farmaceutica a una aggressiva campagna di marketing per il farmaco senza che questo abbia significato una complicità tra ricercatori e industria. È vero anche che molte industrie del farmaco hanno dovuto pagare multe miliardarie per campagne di marketing non corrette, come la promozione off-label di alcuni farmaci. Quando, infine, leggiamo un editoriale firmato da un autore libero da conflitti di interesse gli riconosciamo maggior valore in quanto siamo in posizione di pregiudizio sulla base di alcuni comportamenti dell’industria, senza riflettere se altri ricercatori con legami con l’industria possano proporre riflessioni altrettanto importanti e meritevoli di pubblicazione. Le contestazioni a molte vicende legate al conflitto di interesse finanziario sono viziate da un preconcetto ed è necessario ridurre il rischio di bias così declamato per le relazioni tra industria e medico. Le scienze psicologiche indicano che la sensazione precede la cognizione. Ognuno di noi dà un giudizio emotivo su ciò che vede catalogando il tutto come conflitto di interessi, avidità, industria corruttrice e medico corruttibile, mentre si dovrebbero riconoscere i reali problemi da affrontare come, ad esempio per i casi citati, impegnarsi in una migliore sorveglianza post-marketing per il Vioxx. Sarebbe necessario, inoltre, separare nettamente i ricercatori che sviluppano nuovi trattamenti (industria) da quelli che devono testarli sugli esseri umani (agenzia indipendente).

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